mercoledì 3 aprile 2013
​Parla il nuovo presidente del Coni, Giovanni Malagò, 43 giorni dopo la sua nomina. Le idee e i programmi: «Più mercato per lo sport di vertice e soldi ai privati per quello a scuola». (Massimiliano Castellani)
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​La storia racconta che l’Avvocato, Gianni Agnelli, prima di andarsene per sempre convocò a Villa Frescot il suo “pupillo”, l’attuale presidente del Coni e congedandolo lo salutò: «Stammi bene, piccolo Malagò...». Sono trascorsi dieci anni da allora e il sempre più olimpico Giovanni Malagò è diventato grande. I capelli del 54enne ex rubacuori ed ex yuppie padre patron del Circolo Aniene, sono bianchi, come quelli dell’Avvocato e da 43 giorni Malagò siede sul trono del Palazzo del governo dello sport italiano. Da tribuno romano, è appena salito sull’Aventino per ridare dignità all’intero popolo del Coni, in modo tale che d’ora in poi al suo interno non debbano più esserci né figli né figliastri. Per cominciare, i 90mila euro netti di stipendio da presidente «verranno versati alle associazioni sportive e a società impegnate nel sociale», ha annunciato al Corriere della Sera e il primo beneficiario sarà “o’maestro” Gianni Maddaloni e la sua palestra di Scampia, della quale Avvenire aveva denunciato lo stato di abbandono da parte delle istituzioni. Tutti gli uomini del Presidente sono già schierati sul fronte solidale e su quello del reperimento di «risorse alternative», annuncia (in questa intervista in tandem con Ugo Scali dalle frequenze di Radio InBlu). E ancora, stop alle vecchie «concessioni pubbliche» un tempo destinate alla “casta”: niente più tessere omaggio per i politici da ultimo stadio.È vero presidente Malagò che siamo solo all’inizio della sua “rivoluzione”?«In questi giorni si riunirà la Giunta del Coni e ho in serbo diverse sorprese, vedrete... Io sono abituato a sognare in grande. L’obiettivo, è trascinare la realtà e le persone che adesso rappresento verso nuovi confini, con progetti che coinvolgano tutti e dei quali ognuno si senta protagonista e direttamente responsabile».Con 11 milioni di tesserati il Coni si può considerare il “primo partito” italiano. Eppure nella nostra Costituzione la parola Sport non è neanche menzionata...«Se un giorno, mi auguro al più presto, i nostri politici inseriranno il concetto vitale di Sport nella nuova carta costituzionale io sarò ben felice di sdraiarmi sulle loro scrivanie per ringraziarli. Si ricordino intanto che in tutti i Paesi evoluti la parola Sport è da parecchio che l’hanno “incisa” nelle loro costituzioni».Quando parla di ricerca di “risorse alternative”, intende dire che vedremo uno sport meno statale e sempre più sostenuto dai privati?«Le federazioni sono dei “mostri giuridici” che in parte dipendono dalle sovvenzioni pubbliche, ma poi hanno in seno forme organizzative private. Un problema da superare è la “spacchettizzazione” del Coni, suddiviso in ente pubblico dello sport e in Coni servizi che gestiamo al 100%, ma che di fatto agisce come una comune società commerciale. Da questo ibrido dovrà nascere un organismo sano e unitario in grado di far camminare in sincronia pubblico e privato per proiettare lo sport sul mercato, altrimenti rischia di rimanere fuori dai giochi».Un esempio di sinergia immediata?«Gli investimenti privati nella scuola pubblica. In parte già avvengono, ma non bastano per rispondere all’annosa problematica della riomologazione degli spazi dove fare attività sportiva all’interno dei plessi scolastici. Se non si agisce tempestivamente e con interventi seri e mirati sull’impiantistica allora continueremo a parlare di aria fritta».Pietro Mennea che ci ha appena lasciati sosteneva che se in Italia non era più nato un velocista dell’atletica come lui è perchè nella scuola hanno fatto sparire anche l’ora di educazione fisica.«I talenti nascono a prescindere dall’ora o due settimanale di educazione fisica. Il nodo da sciogliere invece è: come si fa se non sai dove e con chi puoi fare svolgere attività sportiva agli studenti? Il privato offre già “scuole di sport” e più che i soldi o le leggi servono gli uomini giusti e capaci. Ci sono presidi svegli che hanno trovato formule vincenti e altri che invece ancora dormono...».Qual è lo stato dell’arte delle singole federazioni che ha trovato?«Premetto che mi sento il papà di tutte e 45 le federazioni e come tale mi comporterò con ognuna di esse. Alcune stanno meglio di altre, perché magari sul mercato hanno avuto delle opportunità vantaggiose e le hanno sapute sfruttare. Il rugby è una di queste: il Sei Nazioni ha avuto una ricaduta formidabile sull’intero movimento, si finanzia con appena il 10% di contributi Coni e il resto gli arriva da sponsor e diritti televisivi. Oggi, in linea teorica il modello da seguire è questo».I diritti tv tengono a galla anche il calcio che però continua ad avere gli stadi più vecchi e fatiscenti d’Europa.«Sono un “malato” di calcio, ma la dannosa sottocultura che si è trascinata dietro non possiamo più accettarla. Se dirigenti, allenatori e calciatori non si decidono ad andare a “scuola” per imparare da chi sa fare meglio di noi, le cose non possono migliorare. Per stadi moderni e sicuri invece la legge serve e va fatta una volta per tutte».Dagli impianti ideali, all’atleta esemplare, chi è il modello che i nostri giovani dovrebbero seguire?«Federica Pellegrini. Ai ragazzi dico: attenti a non soffermarvi sempre sulle sue scontrosità che ne fanno un personaggio scomodo, ma pensate invece che da quando ha dieci anni Federica si sveglia alle 6 del mattino 365 giorni all’anno, Natale compreso, e resta fino alla sera ad allenarsi in piscina, lontana dai riflettori e spesso nuotando anche in condizioni difficili, sotto tutti i punti di vista. Dietro ogni vittoria c’è il sacrificio e qualcosa che rende speciale il campione che deve essere d’esempio per tutti».Una vittoria che l’ha emozionata di recente?«L’oro europeo nel salto triplo di Daniele Greco. Mi ha entusiasmato per la forza che gli deriva dalla sua fede. E poi, un nostro ragazzo che sotto la maglia azzurra indossa quella t-shirt con su scritto “Gesù vive in me...” è qualcosa che ribalta anche la geografia dello sport: fino a ieri eravamo abituati a certe manifestazioni solo dai calciatori sudamericani».Dal Sudamerica arriva anche Papa Bergoglio, lei aveva pronosticato un pontefice non europeo...«Felicissimo che sia andata così, per tanti motivi, compresa la sua profonda affinità per lo sport e il sociale che sono due facce della stessa medaglia. Il fatto poi che Papa Francesco arrivi dall’America latina, me lo rende ancora più vicino, per linea materna il 50% del mio sangue è cubano».
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