giovedì 26 agosto 2010
Il vincitore dell'ultima corsa roda racconta il suo impegno nel sociale. «I due anni di stop? Un dono di Dio, ho toccato il fondo, ma ho ammesso i miei errori e adesso posso portare la mia testimonianza di uomo e di padre che è risalito come in una cronometro dell’anima».
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Ivan Basso non correrà la Vuelta, ma già pensa al prossimo Giro: negli oratori. «Ciclisticamente sono nato in un oratorio ­ spiega Ivan Basso, 32 anni, vincitore quest’anno del suo secondo Giro d’Italia - . Prima squadra: Gs San Pietro di Cassano Magnago. Con quella maglia le prime corse, le prime coppe, le prime soddisfazioni. Sono sempre stato vicino al mio oratorio, al mio parroco, alla mia chiesa, e dopo aver vissuto la mia triste vicenda, che mi ha portato a vivere due anni d’inferno (squalifica per doping) mi sono maggiormente avvicinato alla mia famiglia e a Dio». È un Basso più maturo quello che incontriamo sul finire di questa estate per lui finalmente serena. «Sono un uomo nuovo, che è tornato a svolgere la propria professione a testa alta, che è tornato a vincere e che soprattutto ha deciso di mettersi al servizio di chi non ha la fortuna che ho io e la mia famiglia. Noi siamo dei privilegiati, abbiamo tanto, molto, posso dire persino troppo. Allora ecco che ho deciso con don Gabriele Gioia parroco di Cassano Magnago, di adoperarmi questo inverno negli oratori della provincia di Varese, ma non solo. L’anno scorso ho girato parecchie scuole, quest’anno ho deciso di tornare da dove sono partito: dall’oratorio. È importante portare la propria testimonianza, raccontare ai ragazzi che nella vita si può sbagliare, ma che non c’è niente di più bello che ammettere i propri errori e farne tesoro. La mia squalifica di due anni? Un dono di Dio. Ho toccato il fondo, ho visto il vuoto, mi sono sentito perso e ho temuto davvero di dover rinunciare a tutto: soprattutto alla mia famiglia. Poi, come in una corsa a tappe, come in una cronometro dell’anima, sono risalito. Ho recuperato me stesso e gli altri. Ai ragazzi voglio portare la mia testimonianza. Voglio raccontare loro che lo sport è vita, ma è ancor più appagante se fatto lealmente, senza scorciatoie, senza inganni. Che senso ha vincere sapendo che hai barato?». Sorride Ivan Basso, in questi giorni in Sardegna con Micaela e i piccoli Domitilla e Santiago, al fianco del suo patron Paolo Zani, il signor Liquigas, che l’ha voluto come testimonial nel suo Geovillage di Olbia.«Qualche giorno di lavoro-vacanza, prima del gran finale. Prima di due corse in Canada, e del punto della situazione per decidere il finale di stagione: mi piacerebbe correre da protagonista il Giro di Lombardia, una corsa alla quale tengo tantissimo e che un giorno vorrei inserire nel mio palmarès».E dopo le corse? «Un po’ di riposo, al fianco di Micaela: attendiamo il nostro terzo erede. Siamo felici, siamo una bella famiglia, per questo abbiamo deciso di fare qualcosa per il bene di chi non sta bene. Per questo oltre agli oratori, quest’anno lavorerò con maggior impegno anche in favore dell’Associazione Bianca Garavaglia, nata nel 1987 e che prende il nome da Bianca, bambina colpita all’età di 5 anni da una rara forma di neoplasia. Un’associazione che opera in favore dei bimbi malati di tumore. Ho in mente tante cose ed è giusto che le faccia: corse, incontri, aste benefiche. Tutto quello che può servire per agevolare la ricerca e per aiutare chi questa battaglia è costretto a combattere in prima persona. E non è tutto: andrò anche in Costa d’Avorio, per un progetto molto interessante  in favore dell’infanzia. Ho tante cose per la mente e soprattutto nel cuore». Tanti progetti, molti gli obiettiviMa soprattutto tante azioni in favore di quei bimbi che lottano con il sorriso sulle labbra per garantirsi non una vita migliore, ma semplicemente la vita. «Il ciclismo è sport individuale, che ha bisogno però di compagni di squadra. Da soli non si può andare da nessuna parte, un po’ come nella vita: ognuno deve fare il suo. Se ognuno di noi dicesse: da oggi mi metto in gioco, il nostro futuro sarebbe di sicuro migliore. Fare del bene si può. Basta che ognuno di noi dica a se stesso: da oggi ci sono anch’io. A quel punto, che grande squadra saremmo...».
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