sabato 22 maggio 2010
Un gol per tempo, entrambi con la firma di Diego Milito. I nerazzurri battono il Bayern e rivincono dopo 45 anni la Coppa più bella.
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Inno alla gioia. Grandissima, incontenibile. Gioia che azzera conteggi temporali che sembravano inesorabili, infiniti: 45 anni cancellati con tre fischi, quelli con i quali l’arbitro Webb decreta che la finale di Champions League 2010 è terminata e l’Inter, finalmente, è campione d’Europa.

Un traguardo così importante, così significativo da accantonare - almeno nell’immediato - l’impresa della conquista, prima squadra italiana di sempre, del campionato, della Coppa Europea e della Coppa Italia nella stessa stagione. Un ingresso nella storia con due firme in calce: la prima è quella di Diego Milito, giunto a laurearsi fenomeno a 30 anni. La seconda è quella di José Mourinho, l’uomo che, smaltiti i fumi di una festa senza precedenti, renderà più amaro il calice della vittoria con il suo addio.

Mourinho che ha forse ingannato il suo exmentore Van Gaal prendendo in mano il match, dimostrando di non volere battere la strada dell’attendismo, del contropiede. Il Bayern passa per la prima volta la metà campo dopo 2’30' a causa di un’Inter corta, aggressiva, che cerca di sorprendere con gli inserimenti i lenti centrali dei tedeschi e difende rabbiosamente anche con i Pandev, gli Sneijder, tutti pronti a raddoppiare, triplicare - anche con le cattive - su Robben, l’uomo da narcotizzare.

Gli altri avversari non appaiono granché, i ritmi del Bayern sono annacquati. Non è molle, invece, la convinzione, l’atteggiamento: quando sfugge alla gabbia, e specie all’incerto Chivu, Robben fa correre brividi. E su una palla alta in area, calciata dall’angolo, l’Inter usa il primo bonus della sera uscendo indenne da una situazione assai dubbia in area (braccio aperto di Maicon su colpo di testa di Van Buyten, 15’). Situazioni che accrescono la fiducia dei bavaresi, che ci cascano con tutte le scarpe: gli spazi, nella metà campo del Bayern, si dilatano. Con quei centrali, è un’auto-condanna: basta un rinvio di Julio Cesar per lanciare al gol Sneijder e Milito: sponda di testa del Principe, assist dell’olandese sulla corsa del compagno partito nel corridoio aperto da De Michelis e raffinato tocco alle spalle di Butt (34’).

E’ il gol che spalanca le porte verso la partita perfetta per Mourinho: nove dietro la linea della palla e tanti saluti a chi, a cominciare da Van Gaal, stigmatizza chi non gioca per lo spettacolo. Tanto il decimo interista che rimane solo davanti è Milito, assolutamente straordinario nel difendere e giocare la palla a vantaggio di compagni che schizzano come palline da flipper: Sneijder, già prima dell’intervallo, fallisce il raddoppio dopo un altro duetto con l’argentino.All’inizio della ripresa, l’Inter si gioca anche il secondo lasciapassare verso la gloria: calcio d’inizio, nerazzurri ancora non sintonizzati, Mueller, per fortuna dei 35mila interisti sugli spalti, non è Milito, benedetto è il piede di Julio Cesar che respinge. Poi è solo variazione sul tema dei battiti cardiaci tra scariche elettriche interiste (Pandev al 47’, bravo Butt, grande ancora - Milito) e spallate Bayern che fanno tremare il fortino Inter salvato da Cambiasso, Samuel, da Julio Cesar grande su Robben (66’) sul quale Mourinho, con un filo di ritardo, riporta Zanetti (fuori Chivu, Stankovic a centrocampo). Reggere e aspettare, è la parola d’ordine: aspettare che Milito abbia di fronte a sé la palla, un avversario, uno spazio. Succede al 70’, l’uno contro uno con Van Buyten e la soluzione finale sono il compendio di un genio realizzativo, di un talento rimasto incomprensibilmente distante dall’Olimpo (70’). Tutto il resto, a dispetto dell’orgoglio del Bayern, è discesa controllata in campo e senza freni sugli spalti fino al magnifico atterraggio. Nel nome del padre, Massimo Moratti raggiunge dopo 15 anni sofferti, controversi e tremendamente dispendiosi per il nervo e per il portafoglio, l’obbiettivo che si era prefisso fin dal giorno in cui tornò a legare la sua famiglia alla Beneamata. Nella mente del presidente e di tutto un popolo, i fotogrammi della memoria - personale o ereditata - di un trionfo lasciano il bianco e nero, e si colorano di emozioni che non passeranno più. L’ex-pazza Inter è campione dei campioni. Il ruolo perfetto per cominciare, da domani, una nuova storia.

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