martedì 3 novembre 2015
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Papa Francesco gode di una grandissima popolarità. Ovunque vada grandi folle accorrono per incontrarlo e ascoltarlo. Ha conquistato l’attenzione dei media di tutto il mondo. Anche molti non cattolici mostrano nei suoi confronti un’apertura di credito che è stata negata a molti suoi predecessori. La sua popolarità, però, non si estende dappertutto e in tutti gli ambienti e, soprattutto, non sempre la novità da lui portata è accettata e compresa. È il caso anche di buona parte delle classi dirigenti europee e, in particolare, degli intellettuali e degli accademici del Vecchio continente.  In Europa, infatti, il mondo della cultura appare quantomeno incerto nei suoi confronti. Indubbiamente, ci sono state poche visite di papa Francesco a grandi istituzioni culturali e sono stati rari gli incontri con esponenti dell’accademia. Di lui non si ricordano lezioni magistrali come quelle tenute da Benedetto XVI all’università di Regensburg o al Collège des Bernardins a Parigi. Sono state poche, inoltre, le occasioni in cui ha parlato in modo esplicito di attività culturale, di ricerca scientifica o di problemi degli intellettuali. Ma tutto ciò non basta a spiegare la distanza tra Francesco e il mondo della cultura europea.  Molti europei si chiedono perplessi che cosa pensi dell’Europa il primo papa non europeo dopo tanti secoli. Il suo discorso a Strasburgo è stato apprezzato, ma prevale la sensazione che Francesco guardi con maggiore attenzione altri continenti, non solo l’America latina, ma anche l’Asia e l’Africa. I pochi viaggi da lui compiuti in Europa sembrano confermarlo. Si è recato anzitutto al suo confine meridionale, a Lampedusa, richiamando gli abitanti del Vecchio continente all’ospitalità verso profughi e migranti e per il suo primo viaggio in un paese europeo ha scelto una terra marginale come l’Albania. Francesco mette insistentemente in primo piano la realtà dei poveri ed è critico verso classi dirigenti che coltivano la «cultura dello scarto» e sono responsabili della loro emarginazione. È una critica che tocca anche le classi dirigenti europee, anzi le riguarda ancor più di quelle dei paesi non europei. Influisce infine anche il tipo di comunicazione privilegiata da Francesco e orientata soprattutto verso un immediato impatto popo-lare: non parla, cioè, il linguaggio delle élites. Per molti motivi diversi, insomma, la cultura europea si sente da lui trascurata o poco compresa. Ne scaturisce una diffusa freddezza: in molti casi, il suo pensiero non viene neanche avvistato dai radar dell’accademia o dell’opinione pubblica più colta.  In realtà, non è vero che Francesco sia lontano dalla cultura, in particolare da quella europea. Le radici di Jorge Bergoglio, nipote di emigranti italiani, sono profondamente europee, come e più di quelle di molti esponenti delle classi dirigenti latino-americane. Tali radici gli permettono tra l’altro di usare correntemente la lingua italiana, in piena adesione al suo ministero di vescovo di Roma. I suoi scritti e le sue interviste rivelano inoltre una frequentazione della cultura europea non solo in campo teologico. Per quanto riguarda l’accademia, prima della sua elezione ha avuto contatti significativi con il mondo dell’università.  Ha inoltre vasti interessi culturali, dalla pedagogia alla letteratura, dal pensiero politico alla conoscenza storica. Mostra pure una notevole capacità di lettura e di interpretazione dei testi, ha visto film famosi e di elevato valore artistico e così via. Dai suoi scritti, infine, emerge un pensiero più complesso ed elaborato di quanto sembri in apparenza. Nonostante ciò che comunemente si pensa, più si leggono le sue encicliche, i suoi discorsi o le sue omelie e più si ha l’impressione che Francesco conosca il mondo degli intellettuali e che abbia convinzioni solide sul ruolo della cultura nella società contemporanea. Nel suo atteggiamento nei confronti dell’Europa, inoltre, non c’è disinteresse ma piuttosto prudenza, ispirata dalla consapevolezza di trovarsi di fronte ad una realtà complessa ed importante, per la ricchezza della sua storia e per la qualità delle sue risorse. A proposito di questo continente, Francesco ha parlato di «stanchezza »: si tratta, indubbiamente, di un rilievo, espresso però con garbo e, soprattutto, con speranza. Rivela, infatti, un’attesa nei confronti dell’Europa e del ruolo che questa può e deve svolgere nel mondo. L’insistenza sui poveri, a sua volta, contiene un messaggio implicito ma molto forte per le classi dirigenti, in particolare europee.Lo conferma l’enciclica Laudato si’quando afferma che, mentre «i gemiti di sorella terra » e quelli dei poveri ci impongono di occuparci con urgenza del mondo intero come «casa comune », «non disponiamo ancora della cultura necessaria per affrontare questa crisi e c’è bisogno di costruire leadership che indichino strade, cercando di rispondere alle necessità delle generazioni attuali includendo tutti, senza compromettere le generazioni future». L’intera enciclica costituisce un vigoroso appello alle classi dirigenti, ad intellettuali, politici, economisti e così via perché si assumano pienamente le loro responsabilità verso un’umanità che oggi rischia di trovarsi senza futuro. Questo appello è stato compreso e accolto favorevolmente nel corso del viaggio del papa negli Stati Uniti ma riguarda anche l’Europa. Francesco, insomma, rappresenta per il Vecchio continente una novità importante. Le sue parole, infatti, colgono in profondità nodi e problemi vitali per il futuro dell’Europa e che spesso la cultura europea non ha il coraggio di affrontare. Ma, proprio per questo, intorno al papa argentino si innalza un muro di incomprensione e di diffidenza, seppure interrotto da larghe brecce. È una resistenza che non riguarda solo i non cattolici ma anche i cattolici, non solo i laici ma anche gli ecclesiastici. Spesso, anzi, proviene più dai secondi che dai primi. È una resistenza spesso nascosta dalla retorica di un’adesione tanto rumorosa quanto fuorviante, ma con Francesco le operazioni mimetiche rivelano presto i loro limiti. La sua concretezza evangelica ha mostrato di saper perforare le barriere dell’ipocrisia, dell’abitudine e della rassegnazione. Non è casuale che la sua forte esortazione a salvare ed accogliere profughi e migranti abbia sfidato efficacemente un’opinione pubblica contraria, anticipando le scelte di importanti governi europei, compresa quella italiana di soccorrere quanti sfidano la morte nel Mediterraneo e quella tedesca di accettare i profughi del Medio Oriente. La chiarezza delle sue posizioni impedisce di affrontare il problema del rapporto tra il papa argentino e la realtà europea senza prendere posizione. È già chiaro, infatti, che il pontificato di papa Francesco avrà un posto di rilievo nella storia. È invece tutt’altro che chiaro se i contemporanei europei di papa Francesco sapranno essere all’altezza di questo pontificato.
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