venerdì 13 maggio 2016
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Amo molto la rivista “Gli asini”, di cui sono peraltro uno dei fondatori, perché raccoglie attorno a sé persone diverse per lavoro e provenienza ma ugualmente, e direi vitalmente, interessate ai temi dell’educazione e dell’intervento sociale, e mi permetto di prendere spunto dall’ultimo suo numero perché, dice la scritta centrale della copertina, in alto sotto la testata, esso è «dedicato a Giulio». A Giulio Regeni, ovviamente, di cui Domenico Chirico, dirigente di un’associazione che opera in Medio Oriente, “Un ponte per”, scrive che «probabilmente a una banda di aguzzini è scappata la mano e non ha tenuto conto che Giulio era italiano e che non sarebbe passata inosservata la sua scomparsa. Come invece accade a centinaia di attivisti» che operano in Egitto e in tanti altri paesi tra Nord Africa e Medio Oriente. Ma non è sul “caso Regeni” che voglio insistere, quanto su altri articoli della rivista che si intitolano, per esempio, negli ultimi numeri, “Essere giovani in Turchia”, “Vivere tra i kurdi”, “Crescere nei paesi dell’Isis” eccetera, e su altri che riguardano i problemi di chi si trova a dover crescere in Italia, nelle nostre case e nelle nostre scuole. La mia convinzione è netta, e viene dalla frequentazione di molti giovani e di molti vecchi, e di aver visto avvicendarsi, ormai, molte generazioni. Detto sinteticamente: i giovani ci sono, magari pochi (e d’altronde è sempre stata questione di minoranze attive, eticamente solide, nel corso della storia, no?) però ci sono, e io non credo che siano così pochi; sono gli adulti a mancare. Oggi in particolare, avverto il disagio di una generazione senza padri, o peggio, con padri segnati dall’accettazione del mondo com’è, delle regole del gioco imposte dall’economia e dalla politica e dai loro servi terminali, i media. Quali i modelli che gli adulti offrono ai giovani? Ambizioni sbagliate e risultati desolanti, quando quelle ambizioni hanno avuto qualche miserabile successo; rari i “padri” e le “madri” che sanno assumersi responsabilità adulte, in questa società e in quest’epoca storica, che sanno davvero aiutare i loro figli a crescere sani, moralmente robusti (come i genitori di Giulio Regeni, per esempio). Meglio infine i falliti che sanno riconoscerlo di coloro che continuano a fingersi giovani (penso per esempio alla generazione del ’68) e ancora vorrebbero porsi a modello dei loro figli, dei giovani. Essi cercano di profittare come possono, per esempio – per falsa coscienza o per pura ipocrisia – del corso delle cose, attenti ai suoi cambiamenti e permettendosi tuttavia di lanciar messaggi, di spiegare il mondo e di dire ai figli come dovrebbero essere. Continuano a uscire libri di adulti che letteralmente «fanno la predica» ai giovani, e dopo gli sdraiati ecco gli indaffarati, in attesa di una risposta dei figli (che verrà piuttosto dai figli degli altri) che si intitoli, che so? gli insoddisfatti, i ricercanti, gli arrabbiati, i diversi: i coerenti, gli attivisti, i curiosi, i generosi. Diceva ai giovani che gli chiedevano consiglio, più di un secolo fa un saggio cinese, Lu Hsun, che dagli adulti, e in particolare da quelli che appendono corone per farsi belli, avevano da imparare tutt’al più le loro sconfitte, e che invece che ascoltarli avrebbero fatto meglio a mettersi insieme per ragionare insieme sulle proprie esperienze e sullo stato delle cose, per cercare insieme i modi di affrontarlo e i modi per cambiarlo. © RIPRODUZIONE RISERVATA benché giovani
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