venerdì 6 febbraio 2015
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Anticipiamo in queste colonne ampi stralci della prefazione di Susanna Tamaro al libro di Luciano Mazzocchi “Pensieri di vita. Ascoltando il creato”, appena edito dalle Paoline (pagine 256, euro 16,00). Mazzocchi è stato a lungo missionario saveriano in Giappone; in Italia dal 1994 ha dato vita alla “Stella del mattino”, laboratorio di dialogo tra Vangelo e zen. “Vangelo e zen” è anche il nome dell’associazione che ha fondato a Desio (Monza) del 2008.A differenza di padre Luciano Mazzocchi, io non sono venuta al mondo in campagna, in una famiglia armoniosa, profondamente impregnata del senso del sacro. Non ho potuto contemplare, come lui, la ricchezza e la complessità umana dei miei genitori, né gioire della bellezza che la natura ogni giorno poteva spontaneamente offrirmi. Sono invece nata e cresciuta in un grigio palazzo di città, da un padre e una madre problematici e infelici, totalmente ostili a qualsiasi forma di religiosità. L’unica natura che ho potuto contemplare è stata quella delle erbacce che rompevano l’asfalto, delle stentate e polverose piante del giardino pubblico del mio quartiere. Eppure, già quelle visioni – quel tarassaco caparbiamente spuntato da una fessura del marciapiede, quelle morbide, pelose foglie della parietaria che si offrivano ai miei occhi dalla sconnessione dei muri – bastavano a far risuonare dentro di me un canto di gioia. C’era armonia, grazia, bellezza, in quelle forme di vita. Ma, a quella ammirata constatazione, si accompagnava anche un senso di desolata solitudine, perché quella bellezza sembrava offrirsi soltanto ai miei occhi. Nessun altro sembrava accorgersene. Ero piena di domande, di stupore e di compassione per il vivente. Domande alle quali nessuno sembrava avere una risposta. Così quando finalmente, dopo molti contrasti in famiglia, riuscii a frequentare il catechismo, vi andai piena di felicità, perché ero sicura che finalmente le mie inquietudini avrebbero trovato un conforto, una condivisione. Che delusione furono, invece, quei mesi! Di tutti i concetti che venivano esposti, non capivo più o meno nulla. Parole su parole, cose da imparare a memoria che non avevano nessun nesso, nessuna relazione con la ricchezza del mondo di emozioni che c’era nel mio cuore. Probabilmente, un bambino cresciuto in una famiglia credente non avrà avuto gli stessi miei problemi, perché quelle figure, quei concetti facevano già parte della sua vita quotidiana. Ma una bambina come me, cresciuta nel deserto del nichilismo, senza nessuna competenza in materia, come poteva capire concetti complessi come quelli della Trinità, dell’Immacolata Concezione e tutto quell’assurdo numero di regole che sembrava dover governare la vita dell’anima? Sebbene amassi molto le parole di Gesù, mi allontanai rapidamente da quell’ambiente severo, in cui la legge interiore non sembrava altro che un astratto moralismo perbenista. Immagino che per i bambini di adesso, che vengono al mondo in una realtà del tutto scristianizzata, sia più o meno la stessa cosa. Parlo spesso con loro, interrogandoli su quello che hanno capito o provato. Che desolazione scoprire che, dopo due anni di catechesi settimanale, tre o quattro, se arrivano anche alla cresima, quello che hanno in testa è soltanto una straordinaria confusione, mentre il loro cuore non sembra essere stato toccato da nulla. Hanno semplicemente adempiuto a un dovere sociale che, una volta passate le boe della Prima comunione e dell’eventuale cresima, si lascia alle spalle. Per questo credo che i libri di padre Luciano, maturati durante la sua lunga esperienza in Giappone, siano una lettura davvero importante. Sono profondamente convinta che l’unica via saggia che il cristianesimo possa intraprendere, per tornare a parlare al cuore e alla mente degli uomini, sia proprio quella di parlare della natura. La natura è reale, concreta, e il cuore di ognuno di noi ha nostalgia della sua essenza. La natura, per essere vista e compresa nella sua complessa profondità, ha anche bisogno di occhi capaci di vedere, di orecchie capaci di ascoltare. E quanto è attuale e al contempo inattuale questa richiesta di visione e di ascolto!  Nel mondo del multitasking, nel mondo della fretta e della distrazione, non c’è più spazio per lo sguardo capace di aspettare e di accogliere, non c’è più spazio per l’anima in grado di trasalire per lo stupore. E allora la via da percorrere è proprio questa. Fermarsi, avere pazienza, saper contemplare quell’Aldilà che costantemente si intreccia con l’aldiqua. Solo questa strada può far germogliare in noi una radice spirituale profonda, una radice che vada verso il centro della Terra e della nostra vita. Soltanto questa radice ci permetterà di non essere naufraghi nel mare della superficialità che ci circonda, e di dare un senso di verità stabile a ogni nostra azione, a ogni nostro sentimento. Quel senso che il Vangelo offre da duemila anni alle nostre orecchie sorde, ai nostri cuori capaci spesso di librarsi unicamente sulle vette dell’ego.
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