lunedì 22 agosto 2011
Elisabetta Bucciarelli colloca l’uomo in un mondo-discarica, Lorenzo Pinna traccia la storia degli scarti dal Neolitico alla «città  pestilenziale» moderna, Cinzia Scarpino indaga gli «smaltimenti» Usa.
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Il bello della spazzatura è che non si butta via niente. Sempre più ostica da smaltire sotto il profilo pratico, sul fronte dell’immaginario l’immondizia è una fonte inesauribile di similitudini e suggestioni. Al punto da alimentare una biblioteca multimediale in continua espansione, che vanta già i suoi classici (Finale di partita di Samuel Beckett, per esempio, dei cui protagonisti vediamo soltanto il volto in emersione da una pattumiera) e si arricchisce in continuazione di capolavori “di recupero”, come il poetico Wall-E targato Pixar, con il robottino intento a impilare montagne di scorie su un pianeta Terra ormai sommerso dai detriti. Tra le acquisizioni più recenti c’è un romanzo italiano, Corpi di scarto di Elisabetta Bucciarelli (Edizioni Ambiente, pagine 224, euro 15,00), ambientato a sua volta in una gigantesca discarica, all’interno della quale vive un’umanità ammaccata ma non arresa. Il protagonista, l’adolescente Iacopo, preferisce questa avventurosa compagnia di risulta a quel che resta della sua famiglia, anche se l’insediamento ha un cuore oscuro, la “putrida”, in cui si riversano di nascosto le sostanze tossiche che andrebbero altrimenti trattate. Nessuno è innocente, se è vero che perfino il padre dell’incantevole Silvia, affermato chirurgo plastico, dimentica spesso di separare adeguatamente i rimasugli della sua camera operatoria… Metafora trasparente, che poggia su una solida documentazione in materia di ecomafie, assecondando l’ispirazione della collana “Verdenero”, che ospita appunto il libro della brava Bucciarelli. Dell’intreccio specificamente – ma non esclusivamente – nostrano fra criminalità organizzata e business dei rifiuti si occupa anche il robusto Autoritratto dell’immondizia del giornalista e autore televisivo Lorenzo Pinna (Bollati Boringhieri, pagine 270, euro 16,00, con una prefazione di Piero Angela). Dalla rivoluzione del Neolitico, quando per la prima volta il genere umano si trova a fare i conti con i “resti” della propria attività, fino all’affermarsi della “città pestilenziale”, in cui si susseguono epidemie e malattie infettive causate appunto dal pattume, il saggio di Pinna rappresenta un’articolata e pressoché indispensabile “critica della ragion residua”. Grande spazio viene giustamente riservato alla purificazione delle acque (in Occidente la città pestilenziale riceve il colpo di grazia dalle imponenti opere idrauliche realizzare nel XIX secolo in metropoli quali Londra e Parigi), mentre in ambito italiano il caso più meticolosamente analizzato è quello di Napoli, con particolare riguardo alla mancata realizzazione del progetto di bonifica urbanistica del 1885, che già all’epoca Matilde Serao fece oggetto di un polemico reportage. Oltre che ricco di dati e informazioni statistiche, Autoritratto dell’immondizia è assai stimolante quando applica la categoria dello “spreco” al contesto sociale. Certo, afferma Pinna, l’Europa pre-industriale può presentarsi ai nostri occhi come un modello virtuoso di riutilizzo degli scarti, secondo le prassi in uso nel mondo contadino. Ma questo non può farci dimenticare come la selezione delle classi dirigenti all’interno di élite ristrette abbia comportato, nell’assetto precedente la Rivoluzione francese, a disperdere un’incalcolabile quantità di risorse umane. L’analogia strettissima fra immondizia fisica e marginalità sociale è una delle direttrici lungo le quali si muove un’altra indagine di estremo interesse, quella condotta dall’americanista Cinzia Scarpino in US Waste (Il Saggiatore, pagine 326, euro 23,00), affascinante sintesi di antropologia culturale, critica letteraria e storia materiale. Fin dalle origini del loro sviluppo, infatti, gli Stati Uniti sembrano combattuti fra la volontà di evitare qualsiasi “spreco” e la necessità, al contrario, di rendere invisibile ogni “rifiuto”: un equilibrismo reso ancora più complesso dall’avanzata, lungo tutto il Novecento, della mentalità “usa-e-getta”, per cui i costi di riparazione o manutenzione di un oggetto parrebbero meno convenienti dell’acquisizione di un nuovo bene. È una battaglia che si scatena anche nell’ambito squisitamente americano della motorizzazione di massa e che vede la sconfitta dell’impostazione voluta da Henry Ford (il leggendario Modello T era pensato per durare tutta una vita) a beneficio dell’obsolescenza programmata imposta dalla General Motors, in conseguenza della quale quest’anno l’auto dell’anno scorso è già pronta per essere sostituita da quella dell’anno prossimo. Anche US Waste è un testo che si presta a differenti livelli di lettura e che ha il merito, fra l’altro, di riportare l’attenzione su un autore come Upton Sinclair, che un secolo fa aveva tempestivamente denunciato nei suoi romanzi l’impatto devastante del residuo, non solo industriale, sulla società americana. La parte più inquietante e attuale del libro di Cinzia Scarpino rimane però quella centrale, una sorta di viaggio tra gli isolotti al largo di città come New York e San Francisco, indifferentemente adoperati come discariche, sede di penitenziari e centri di smistamento per l’immigrazione. Un modo per tenere alla larga i rifiuti, anche e specialmente quelli umani. Almeno fino a quando la pratica dell’“allontana e dimentica” non si rivela un’illusione impraticabile. Ed è allora, di solito, che entra in scena Wall-E.
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