martedì 22 febbraio 2022
Gli scrittori-viaggiatori contemporanei sono attratti dall’intimo, dall’atavico. In sintonia con le aspirazioni di riappropriazione della natura, reazione alla sbornia urbana degli anni Duemila
Camarda presso L'Aquila, alle pendici del Gran Sasso

Camarda presso L'Aquila, alle pendici del Gran Sasso - Pixabay

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La letteratura di viaggio è un genere classico della scrittura. Reale o fantastico, dall’Odissea in giù il percorso geografico diventa elemento e simbolo di un percorso interiore. Ogni epoca ha i suoi luoghi d’elezione: in queste settimane le Gallerie d’Italia a Milano celebrano il Grand Tour che tra Sette e Ottocento portò gran parte dell’intellighenzia europea faccia a faccia con l’Italia (o, meglio, con una certa idea di Italia, come ha illustrato su queste colonne Alessandro Beltrami recensendo la mostra lo scorso 14 gennaio); c’è stato il tempo crepuscolare e sepolcrale dello Sturm und Drang e del primo Romanticismo, quello della Parigi dei flâneur, quello del coast to coast americano e poi dell’India sciamanica dei beat americani... Oggi, tra gli itinerari più gettonati, ci sono quelli sotto casa. Non per improvvisa scelta di comodità, anzi: per funzionare, un racconto di viaggio deve essere condito da almeno un minimo di disagio logistico. No, quello che attira gli scrittori-viaggiatori contemporanei è la dimensione del piccolo, dell’intimo, possibilmente dell’atavico. In sintonia con le aspirazioni di riscoperta e riappropriazione di un rapporto con la natura, reazione alla sbornia urbana degli anni a cavallo del Duemila. Una reazione facilitata e accelerata dall’esperienza delle quarantene pandemiche che hanno fatto emergere una tendenza già in atto nelle nostre società occidentali: quella dell’accesso o del ritorno al piccolo centro, al paese, a una vita più direttamente allineata con i tempi e i luoghi della natura. Gli aspetti sociali ed economici di questo moto dello spirito del XXI secolo sono già oggetto di studi e di proposte approfondite; sul versante memorialistico-letterario, non mancano in questa direzione autori di successo e fama, anche mediatica, da Mauro Corona a Paolo Cognetti – tanto per fare un paio di nomi. Denominatore comune è lo sguardo rivolto alla montagna: pare che la natura marittima attragga meno, e che quella di pianura non esista affatto. Ma in effetti la montagna è, nell’immaginario, il luogo dello spirito, volendo anche il punto di contatto con il divino, in ogni caso l’area dove è più facile trovare corrispondenza ai propri desideri di verde e di quiete. Ed ecco moltiplicarsi le pubblicazioni che si propongono di accompagnare i lettori lungo mulattiere e sentieri; il livello qualitativo è variabile, com’è ovvio, ma non mancano alcuni titoli degni di nota. Per esempio In bosco di Daniele Zovi (Utet, pagine 208, euro 17,00), il cui sottotitolo ne illustra chiaramente l’obiettivo: “Leggere la natura su un sentiero di montagna”. Nello specifico, il sentiero percorso in pagina da Zovi è questa volta quello dell’Altopiano dei Sette Comuni. Sul versante opposto dell’arco alpino si muove invece Carlo Grande, l’autore di La via dei lupi, che nel suo ultimo Il giardino incantato (Edizioni Terra Santa, pagine 230, euro 16,90) propone “un viaggio dell’anima dalle Alpi occidentali alle colline delle Langhe e del Monferrato”. Grande procede di valle in valle con metodo, soffermandosi ogni volta su uno specifico momento capace di assumere un valore esemplificativo e anche simbolico sia della concreta realtà di chi in quelle valli ci vive tutto l’anno, sia della reazione spirituale che quell’ambiente può provocare. Se in questo ricco filone editoriale i singoli testi si segnalano soprattutto per la maggiore o minore qualità letteraria, condividendo tutti la stessa impostazione di fondo, diverso è l’approccio di Gianluca Galotta: filosofo, con il suo Paesofia (La scuola di Pitagora, pagine 174, euro 15,00) si propone di dare una sistematizzazione e, non da ultimo, un nome a questa tendenza del nostro tempo. Galotta si sofferma sui piccoli borghi d’altura, montani o collinari, poco popolati da sempre oppure vittime del grave spopolamento degli ultimi decenni. Il libro contiene l’immancabile diario di viaggio (in questo caso tra minuscoli paesi dell’Appennino centrale), ma propone soprattutto una concettualizzazione del moto verso l’uscita dalla città: «nei piccoli paesi – scrive – troviamo una sophìa rara nel mondo consumista e frenetico dei nostri giorni. Una sapienza che consiste nell’invito a fermarci e rallentare per poter riflettere». L’ambizione divulgativa si concretizza nei brevi capitoli che accostano ad alcune figure essenziali della storia della filosofia le possibili declinazioni “paesofiche” che potrebbero derivarne, individuando per ciascuno un habitat ideale proprio nel silenzio dei piccoli borghi. Un’operazione forse un po’ schematica, ma buon indice di una necessità evidentemente reale dell’uomo occidentale contemporaneo. Che sta scoprendo di voler essere magari un po’ meno occidentale, e soprattutto un po’ meno contemporaneo.

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