giovedì 7 novembre 2013
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​Sul romanziere non si discute e la fama del polemista ha conservato nel tempo la sua statura leggendaria. Ma come poeta Gilbert Keith Chesterton (1874-1936) non è altrettanto conosciuto e riconosciuto. In Italia, in particolare, la sua produzione in versi è stata finora ignorata da un’editoria che, per il resto, non ha mai smesso di interessarsi al geniale creatore di padre Brown. Ma anche in Gran Bretagna gli apprezzamenti non sono sempre stati calorosi. Un lettore esigente come T.S. Eliot, per esempio, si trincerava dietro una definizione di per sé non ostile, «ballate giornalistiche di prima qualità», raccomandando però di non prendere troppo troppo sul serio un versante dell’opera di Chesterton che lo stesso autore, secondo lui, avrebbe trattato con un certo distacco. In realtà il buon Gkc teneva molto ai suoi versi, come dimostra la serie di traduzioni che, finalmente, stanno rendendo disponibile anche nel nostro Paese queste composizioni tutt’altro che eccentriche rispetto ai temi affrontati dai capolavori in prosa. Il titolo di maggior impegno rimane La ballata del cavallo bianco, il poema epico di oltre 2.500 versi la cui versione italiana è stata allestita da Annalisa Teggi per Raffaelli nel 2009. Lo spunto viene dalla vittoria di Alfredo il Grande nella battaglia di Ethandun (878), cruciale episodio storico riletto da Chesterton in chiave allegorica. A questo testo può essere ora accostato La ballata di Santa Barbara e altre poesie (Itaca, pagine 176, euro 15,00), frutto del lavoro congiunto di un gruppo di giovani studiosi composto da Marco Antonellini, Marica Ferri, Alessandro Palmonari e Lucia Zardi. Ma c’è da tenere presente anche la manciata di poesie tradotte da Rodolfo Caroselli per Lo spirito del Natale, preziosa raccolta di scritti chestertoninani realizzata da Maurizio Brunetti per D’Ettoris Editori (pagine 144, euro 12,00). Prefazioni importanti per entrambi i volumi – lo specialista Ian Boyd per Itaca, il vescovo Luigi Negri per D’Ettoris – e tante, tantissime poesie che aiutano a superare il pregiudizio sull’irrilevanza del Chesterton in versi. Se nella silloge natalizia spunta infatti un ritratto dei Magi che in qualche misura anticipa il celebre “Viaggio” dello stesso Eliot, è nell’antologia intitolata alla guerresca “Ballata di Santa Barbara” che lo scrittore mostra il suo volto più privato e sorprendente. Ma i versi dedicati alla moglie Frances, dai quali affiora tra l’altro l’ombra di un «bambino mai nato» (la coppia non ebbe figli), sono soltanto uno tra i molti aspetti di un canzoniere straordinariamente articolato. C’è il Chesterton bellico di “Lepanto” e il parodista irrefrenabile che suggerisce di pronunciare il nome di Freud come se fosse l’inglese Fraud («Frode»), ci sono accensioni teologiche e invettive antimoderniste, c’è un omaggio a Dante e un imprevedibile “I gentiluomini preferiscono le bionde" (il bersaglio, questa volta, è la Germania hitleriana). E poi c’è l’ode ai gesuiti che riproduciamo in questa pagina e composta nel 1936, nel pieno delle persecuzioni spagnole. Chesterton morì poco dopo, il 14 giugno dello stesso anno.
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