venerdì 30 gennaio 2009
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Con un superconvegno inter­nazionale di altissimo livel­lo scientifico e storico dal 26 al 30 maggio a Firenze, dove sa­ranno mostrati e studiati nuovi si­gnificativi documenti (tra cui 7 let­tere venute alla luce recentemente all’Università Gregoriana), «sarà onorata la figura di Galileo, genia­le innovatore e figlio della Chiesa». Così annuncia la nota vaticana che accompagna una conferenza stampa di presentazione, tenuta ieri nella Sala Stampa vaticana di fronte a un’affollatissima platea di giornalisti. Sul «caso Galileo» la Chiesa deve fare autocritica senza reticenze – ha detto monsignor Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura – ma contestualizzando rigorosa­mente l’errore «soggettivo» com­piuto da coloro che giudicarono lo scienziato, il quale «ebbe molto a soffrirne». La rivoluzione coperni­cana infatti «non era stata ancora definitivamente provata», né è dettaglio senza valore – aggiunge Ravasi – il fatto che, pochi mesi dopo la condanna, a Matteo Ricci fu consigliato di portare in Cina per illustrare il pensiero cattolico­romano – fra l’altro – proprio i dia­loghi scritti da Galileo. Così alla fi­ne di marzo, annuncia ancora Ra­vasi, verranno resi noti in un volu­me tutti gli atti della Commissione sul caso Galileo, istituita nel 1981 da Giovanni Paolo II. E il prelato propone anche un Dvd che ri­prenda tutto il materiale sulla vi­cenda. Il convegno di Firenze – dal titolo «Il caso Galileo. Una rilettura storica, filosofica, teologica» e or­ganizzato dall’Istituto Stensen sot­to la direzione del gesuita padre Ennio Brovedani – con altre 8 ini­ziative e manifestazioni (di cui si riferisce qui sotto) – sono il contri­buto di approfondimento che la Chiesa intende dare all’«Anno del­l’Astronomia » appena cominciato. Roma ha sempre avuto una spe­ciale attenzione per la scienza che studia i corpi celesti: «Il cielo è metafora della trascendenza di Dio, è il simbolo capitale per le re­ligioni, lo zenit, la tenda che pro­tegge il beduino nel deserto. La parola 'cielo' è nominata 458 vol­te nell’Antico e 284 nel Nuovo Te­stamento », osserva monsignor Ra­vasi. Ma aggiunge che l’aspirazio­ne a guardare in alto si accompa­gna alla convinzione che Dio non sta solo nei cieli: «I cieli e la Terra non possono contenerti e nean­che questo tempio», dice Salomo­ne. I Papi hanno presto dato im­pulso all’astronomia, coltivando anche personalmente l’interesse per questa scienza. L’astronomia entrò a far parte degli studi eccle­siastici con Gerberto d’Aurillac, Silvestro II, intorno all’anno Mille. Seguono Gregorio XIII, promotore della riforma del calendario, e san Pio X che sapeva fabbricare orolo­gi solari. Benedetto XVI ha fatto notare recentemente che la stessa piazza San Pietro è una meridia­na. Poi c’è la Specola Vaticana e il papa ha ricordato «la passione e la fede di non pochi scienziati, i qua­li – sulle orme di Galileo – non ri­nunciano né alla ragione né alla fede e le valorizzano entrambe fi­no in fondo, nella loro reciproca fecondità. In lingua swahili si usa un’immagine molto efficace, per descrivere lo stretto vincolo Cielo­Terra: «Dobbiamo agganciare una stella all’aratro». «Ma siamo tutti nati astronomi», interviene Josè Gabriel Funes, direttore della Spe­cola Vaticana (che sta conducendo indagini d’avanguardia alla ricerca di pianeti fuori del sistema solare; tutti gli uomini hanno il diritto di osservare il cielo stellato e di pro­vare l’indescrivibile emozione di questo spettacolo. Peccato che or­mai, in larga parte del mondo, non è più possibile a causa del pe­sante inquinamento luminoso: «Mi rivolgo ai mass media perché aiutino gli astronomi nella batta­glia per conservare l’oscurità not­turna dei cieli», ai appella il pro­fessor Funes. Nicola Cabibbo, pre­sidente della Pontificia Accademia delle Scienze, s’associa all’allarme e auspica che anche in Europa, come negli Usa, si introducano si­stemi di illuminazione pubblica rivolti verso il basso (per protegge­re le persone) e non verso l’alto. L’istituzione che presiede ha dedi­cato memorabili sessioni alla ri­cerca astronomica, lungo la strada aperta 4 secoli fa da Galileo, il qua­le con il suo cannocchiale – rileva Cabibbo – ha rivoluzionato la scienza. Con lui si passa dall’a­stronomia geometrica, teorica (quella di Tolomeo e in fondo di Copernico) all’astronomia fisica, quella dei corpi celesti in movi­mento. Quando il genio pisano scopre i satelliti di Giove, si accor­ge che si muovono a forte velocità e per lui è un fenomeno sorpren­dente. La novità assoluta delle scoperte galileiane (il cannocchia-­le, la Luna con le sue montagne come una «seconda Terra», le macchie solari, i satelliti di Giove) viene messa in luce anche da Pao­lo Rossi, professore emerito di Sto­ria della Scienza all’Università di Firenze e membro dell’Accademia dei Lincei: «Galileo è il primo uo­mo di scienza che usa uno stru­mento per conoscere le verità ce­lesti ». Lui annunciò che le stelle sono enormemente più numerose di quelle che si vedono a occhio nudo. E i suoi avversari tentavano di contestare le sue scoperte: «Se mette insieme due lenti, si spiega benissimo che veda raddoppiato il numero delle stelle»... Per onorare Galileo era stata progettata anche una statua in Vaticano, ora nella fase di bozzetto; ma si è pensato che sia meglio investire le risorse messe a disposizione dallo spon­sor realizzando in Africa un istitu­to per master in scienza, filosofia e teologia. Anche questo significa «guardare lontano». La statua di Galileo agli Uffizi a Firenze. Qui sopra: la presentazione vaticana dell’anno galileiano
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