mercoledì 25 febbraio 2015
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Nella sua vita Dante non fu molto amato dai suoi concittadini. E nemmeno da un papa che sosteneva la parte politica a lui avversa, i Guelfi Neri, prima segretamente e poi apertamente: proprio quel Bonifacio VIII che contribuisce fortemente alla sua rovina politica e al suo esilio da Firenze. Dante lo condanna all’inferno, fra i simoniaci – coloro che fecero commercio di cose sacre –, prima ancora che fosse morto. Nel poema che nelle sue speranze gli avrebbe aperto le porte di Firenze, con la gloria che gli avrebbe fatto conquistare. Ma le ragioni politiche prevalsero su quelle del valore.Ai giorni nostri la situazione è molto cambiata: l’opera di Dante, in modo speciale la Commedia, è apprezzata nel mondo, anche da illustri pontefici, che la citano in occasioni importanti. Tra i più vicini a noi, Giovanni Paolo II definisce la Commedia un «racconto teologico» col quale Dante ha fatto sì che «il peso dell’umano non distruggesse il divino che è in noi, né la grandezza del divino annullasse il valore dell’umano». Senza dimenticare le eleganti citazioni dal Paradiso di Benedetto XVI e dello stesso papa Francesco oggi, soprattutto tratte dalla celebre preghiera di san Bernardo alla Madonna, che apre il canto XXXIII.Parole di sostenitori importanti che avrebbero rivitalizzato l’esule Dante e gli avrebbero forse reso possibile il tanto desiderato ritorno in patria. La ragione di un tale successo non è solo nel fatto che il viaggio di Dante conduce a Dio, facendo sì che possano incontrarlo anche tutti i lettori. C’è di più: Dante è riuscito a rendere emozionante questo viaggio, attraverso le zone d’ombra dell’anima, ma senza mai perdere il contatto con la luce e la speranza. Proprio come in un romanzo, ha dato un volto ai santi, ha conferito vitalità e spessore a un mondo di anime impalpabili, ha creato un paesaggio dell’Inferno e persino del Paradiso, ha reso credibile un mondo di attesa ed espiazione sospeso fra umano e divino, il Purgatorio. In sintesi, ha dato concretezza a una serie di realtà della fede, che nel discorso teologico erano forse troppo astratte.Così, in episodi e personaggi, in ogni tappa del viaggio, nella Commedia si avverte l’impronta dell’insegnamento cristiano. Lo mette in luce Giovanni Galletto nel suo libro appena uscito per le edizioni Fede e Cultura, Il Vangelo secondo Dante: nelle tre cantiche troviamo citati in ordine sparso tutti i sacramenti, tranne l’unzione degli infermi, proprio come in un catechismo. Ma è soprattutto il sentimento di essere cristiani che pervade ogni verso del poema, non per caso definito «sacro» dallo stesso autore. I grandi temi che toccano il cuore della fede, mostrando come una scintilla divina abiti in noi, e che la rinsaldano dopo un viaggio nei dubbi, come è stato per Dante quando ha attraversato l’Inferno. Spesso con immagini evocative, come le quattro stelle del cielo sopra il Purgatorio, o l’immensa aquila del cielo di Giove, il poeta ci descrive le nostre virtù umane, di cui abbiamo goduto al massimo grado nel giardino dell’Eden: la prudenza, il senso di giustizia, la forza e la capacità di moderare le passioni. Su tutto, domina la libertà: il bene supremo che ci è stato infuso da Dio. La libertà ci rende unici fra gli esseri animati e ci ricorda che siamo responsabili di ogni nostra scelta. Ma è anche a fondamento della giustizia suprema che regola il mondo, come appare dai dialoghi con grandi personaggi: Catone, il misterioso Marco Lombardo e il nobile antenato di Dante, Cacciaguida.
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