sabato 18 giugno 2016
​Da Milano a Napoli si diffondono le rassegne teatrali all'interno di case e atelier. Così si porta nuovo pubblico nelle sale.
Quando il teatro vive in una stanza
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​Adesso il teatro si fa pure in salotto. Senza palcoscenico né pedane, gli attori si muovono sopra un tappeto tra la libreria e il divano, recitano sotto un quadro appeso al muro e in mezzo agli spettatori che occupano le poltrone del tinello e le sedie prese dalla cucina. C’è anche il televisore ma, se non serve per esigenze di copione, rimane spento. Le luci del lampadario vengono spesso “rinforzate” da faretti a led. Il luogo coincide con la scenografia e non esiste più una distanza tra artefici e destinatari della rappresentazione teatrale. Niente quarta parete, insomma. Qualche volta diventano spazio scenico anche il giardino o la cantina di una casa privata, o un atelier, una bottega artigiana, uno studio professionale, la sala di un museo. Lo spettacolo è una “performance”, il genere si chiama “teatro d’appartamento”. La rinascita dei settecenteschi teatrini di corte? Forse. Una questione da professionisti della ribalta, comunque, e da veri appassionati dell’arte drammatica. Tra gli artisti che prediligono questa forma di teatro figurano Maria Amelia Monti, Sonia Bergamasco, Maddalena Crippa, Riccardo Caporossi, François Kahn. A Milano l’esperienza nacque cinque anni fa come una proposta di nicchia, per pochi spettatori e forse un po’ snob. Ma oggi è una realtà diffusa, con rassegne che si tengono ogni anno, anche in Brianza (con il “Teatro Fuoritraccia”), a Torino, Roma (soprattutto con “Teatroxcasa” di Raimondo Brandi e Serenella Tarsitano, che produce spettacoli e fa incontrare teatro e dimora sul web) e poi a Piacenza (con la rassegna “Home Made” di Mauro Caminati e Samantha Oldani), Bologna, Napoli e in altre città italiane. Vi sono coinvolte compagnie che mettono in scena testi spesso adattati agli spazi ristretti, perlopiù monologhi o dialoghi, anche con musica dal vivo di piccole band. Si tratta di classici “rivisitati”, di racconti, letture di poesie, oppure pièce scritte apposta per l’occasione. Gli autori? Si va da Camillo Boito (la novella Senso, adattata dal regista Valter Malosti, è stata rappresentata a marzo nella Sala Garibaldina del Museo del Risorgimento di Milano) a James Joyce, da Samuel Beckett a Pier Paolo Pasolini (le liriche di L’italiano è ladro sono riecheggiate nella Casa della Memoria di Milano nel maggio scorso).

 L’ultima proposta in ordine di tempo, allestita nel capoluogo lombardo l’8 e 9 giugno scorsi, è del Teatro Alkaest in collaborazione con il Teatro “i”, nell’ambito della rassegna “Stanze”, un progetto ideato e realizzato da Alberica Archinto e Rossella Tansini: i Tre lai di Giovanni Testori nello showroom di Donatella Pellini in un palazzo ottocentesco del centro storico, a pochi passi dal Duomo: riduzione dei monologhi e regia di Renzo Martinelli, interpretazione – strepitosa e commovente – di Federica Fracassi. «Le tre drammaturgie di Testori, Erodiás, Cleopatrás e Mater Strangosciás – commenta Martinelli – che abbiamo sintetizzato in un’unica pièce di cinquanta minuti, attraverso una lettura tra il comico e il tragico. Scritte nel 1993 in una specie di grammelot brianzolo, sono di estrema attualità: tre canti di morte ma anche di speranza e di vita, che interrogano nel profondo i desideri di altrettante figure femminili». Insomma, un testo che ben si adatta al teatro di appartamento e al pubblico che lo predilige. «Abbiamo visto in questi anni come il teatro messo in scena nei luoghi piccoli e insoliti serva a portare nuovi spettatori nelle sale tradizionali – spiega l’organizzatrice Rossella Tansini – facendo da volano, provocando una sorta di effetto trascinamento: si conoscono da vicino gli attori con i quali si possono scambiare due chiacchiere alla fine dello spettacolo, e ci si può diventare amici, anche perché non si va via subito, c’è un’atmosfera familiare favorita quasi sempre da un cocktail o da un rinfresco offerto dai padroni di casa». Di solito agli spettacoli si accede solo su prenotazione e fino a esaurimento dei pochi posti disponibili (al massimo una cinquantina alla volta), gli indirizzi delle case dove si svolgono gli spettacoli vengono comunicati esclusivamente per telefono al momento della prenotazione. In genere non si pagano biglietti di ingresso (e i costi sono comunque bassi) ma ci si iscrive a un’associazione culturale ottenendo una tessera con la quale, oltre che agli spettacoli, si può partecipare anche ad altre attività. Si crea, così, una sorta di fidelizzazione del pubblico. «Il difficile per chi organizza questo tipo di eventi teatrali – prosegue Tansini – è abbinare il senso del testo che si vuole rappresentare con il luogo che lo ospita: si tratta di creare le atmosfere adeguate e spesso anche un tavolo, un mobile, un oggetto che si trovano in casa sono utili alla messa in scena». Il teatro di stanza impone inoltre un maggiore impegno ad attori e spettatori, proprio per via della loro distanza ravvicinata. «Gli attori guardano in faccia il pubblico il quale, ovviamente, non può distrarsi – spiega Tansini – ma gli spettatori si sentono dei privilegiati, perché non tutti possono fare questa esperienza, anche se le nostre liste di attesa sono lunghe e spesso non riusciamo ad accontentare tutti, nemmeno quelli che mettono a disposizione il loro appartamento per un’evento».

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