mercoledì 3 settembre 2014
A colloquio con il sindaco di Siena, Bruno Valentini, per raccontare la corsa della città toscana verso la Capitale europea della cultura nel 2019
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“Dopo la terribile stagione che abbiamo vissuto è stata una sorpresa arrivare fra le sei città finaliste”. Si lascia come andare a una confidenza il sindaco di Siena, Bruno Valentini. Nella sedia accanto alla scrivania ha una maglietta di “Siena 2019”. Il suo ufficio è nel Palazzo pubblico, affacciato su piazza del Campo. “Avendo alle spalle il commissariamento del Comune e poi la crisi del Monte dei Paschi – afferma il primo cittadino che proviene dalle fila del Pd – l’essere arrivati a un passo dal traguardo è davvero un segnale di speranza. La città crede davvero di potercela fare. Sa, qui siamo tutti contaminati dalla cultura del Palio: conta vincere. E la peggiore posizione è giungere secondi”.

Sindaco, perché Siena si è messa in gioco per la Capitale europea della cultura? In fondo, è già una città di fama mondiale. “La candidatura nasce dalle difficoltà che la città sta attraversando. E la cultura è la via d’uscita dalla crisi. Lo scorso anno Marsiglia ha avuto otto milioni di ospiti grazie al titolo di Capitale della cultura. Siena li ha già adesso. Ma vogliamo passare dalla rendita alla crescita dinamica. Inoltre, secondo tutte le stime nazionali, il comparto culturale è quello in cui si può sviluppare davvero nuova occupazione. Il titolo di Capitale della cultura non vuole essere un ulteriore trofeo che la città intende conquistare, ma uno stimolo per arrivare a un diverso modo di vedere la città”.

I punti di forza e quelli di debolezza di “Siena 2019”? “Dico subito che non abbiamo padrini politici. Il Monte dei Paschi è stato salvato senza supporti politici e solo con un percorso autonomo. La forza del nostro progetto di candidatura è data dalle idee. In particolare vogliamo coniugare tradizione e innovazione. Abbiamo l’appoggio della Regione. E tutta la Toscana ci sostiene in questa partita. La città dice all’Europa che si può innovare anche ciò che è di per sé straordinariamente bello. Non vogliamo essere un parco a tema: la bellezza non può cristallizzarci. Siamo oggetto del desiderio di milioni di turisti, ma non possiamo essere stravolti o deteriorati”.

Siena è considerata una città chiusa. Tutto inizia e finisce dentro le sue mura? “L’orgoglio identitario è la cifra del senese, ma nei secoli l’ha trasformata in capacità d’accoglienza come mostrano i luoghi di rifugio o gli spedali lungo la Via Francigena. Siamo figli della strada e non possiamo chiudere le nostre porte all’altro. Inoltre siamo la città che ha il più alto tasso di donatori di sangue al mondo. E’ l’idea di una pacificazione anche carnale che è più forte delle divisioni e delle differenze”.

Avete adottato Leonardo da Vinci nel progetto di candidatura. “Leonardo è riferimento per affrontare il tema della divulgazione scientifica. Si fa cultura sia con il gioco, come dice il genio di Vinci, sia con le nuove tecnologie”.

Perché è stato scelto l’ex ospedale di Santa Maria della Scala, di fronte al Duomo, come simbolo di “Siena 2019”? “Santa Maria della Scala è oggi un polo museale, ma vuol essere una sorta di Beaubourg italiano. E’ già un museo di se stesso. E’ uno dei più antichi ospedali del mondo, decorato con affreschi e pitture. L’idea è di farne un contenitore di differenti espressioni culturali: dalle mostre alle sperimentazioni. Inoltre vogliamo avvalerci delle nuove tecnologie: da strumenti di alienazioni e isolamento devono diventare opportunità di relazione”.

Che cosa si aspetta Siena da questa sfida? “Siena non è solo un gioiello italiano che può rappresentare il Belpaese nel mondo. Se siamo ancora una città d’eccellenza, vogliamo dimostrare che si può venire qui non solo da turisti ma anche per lavorare o per fare cultura. Abbiamo già stabilito relazioni con studiosi, ricercatori e artisti internazionali. E la Capitale europea consoliderà i legami di Siena con l’Europa”.

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