martedì 9 settembre 2014
L'avvocato 35enne eletto a sorpresa lo scorso giugno primo cittadino racconta la crisi di Perugia. "Va trovata la via giusta per uscire dalle sabbie mobili. E la Capitale della cultura è un’opportunità"
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Per parlare di Perugia, la città che guida da tre mesi, il sindaco Andrea Romizi prende come spunto la Fontana Maggiore di piazza IV novembre, di fronte al Palazzo comunale e alla Cattedrale. “E’ il simbolo della nostra comunità e del nostro ingegno. Perugia è stata in grado di far arrivare l’acqua fin sulla vetta di un colle pur di alimentare la fontana. Ciò dice la nostra capacità di superare le difficoltà e di accettare le sfide”. La scommessa su cui ha puntato di recente la città è quella di diventare Capitale europea della cultura nel 2019. Un progetto che Romizi, 35enne esponente di Forza Italia, ha vissuto dai banchi dell’opposizione finché a sorpresa, lo scorso giugno, è stato eletto sindaco rompendo il monopolio “rosso” del governo cittadino.

Sindaco, condivide questa impresa cominciata da un esecutivo di un altro colore? “Certo. E subito dopo la mia elezione, a giugno, ho voluto che la mia prima uscita pubblica fosse nella sede della Fondazione Perugiassisi 2019. Volevo fugare ogni dubbio sulle sorti della candidatura: ci credo fino in fondo. L’amministrazione comunale continuerà a fare la sua parte. Sottolineo che già da consigliere di minoranza aveva votato tutti gli atti sulla candidatura”.

Che cosa hanno significato per Perugia le elezioni in cui lei ha prevalso? “Le elezioni hanno mostrato che c’è voglia di cambiamento in città. Sono state il segnale di una comunità che vuole mettersi in discussione. E ammetto che non mi aspettavo di diventare primo cittadino”.

Il dossier di candidatura descrive una città in crisi. “Perugia ha una storia incredibile. E’ vero: deve ritrovarsi. Come nella vita, va trovata la via giusta per uscire dalle sabbie mobili. Anche la nostra città deve trovarla. E la candidatura è un’opportunità. Da perugini vogliamo ritrovarci intorno a un progetto condiviso. Abbiamo una ricchezza di istituzioni di alta formazione che poche altre comunità come la nostra hanno: due atenei, l’Accademia di belle arti, il Conservatorio, la Scuola di lingue estere dell’Esercito, la Scuola di giornalismo Rai. Però fanno vita a sé rispetto alla città. Occorre lavorare insieme e avere una prospettiva comune. Abbiamo potenzialità incredibili ma non abbiamo saputo fare rete, si direbbe affidandosi a una locuzione un po’ logora”.

“Perugia 2019” guarda al rilancio del centro storico, finito nell’occhio del ciclone non solo per il delitto di Meredith Kercher ma anche per lo spaccio di droga e la piccola criminalità. “Il centro storico è il cuore di Perugia, è l’acropoli.  Oggi è un po’ la cartina tornasole della città che vive sospesa fra il disagio e la bellezza. Il centro ha vissuto momenti di estrema difficoltà negli ultimi anni. Vogliamo dare una prova migliore rispetto a quanto è avvenuto nel recente passato. Occorre ridare vivacità al cuore antico di Perugia”.

Qual è il rapporto fra la città e le migliaia di giovani che frequentano le due università? “Il rapporto fra la città e gli studenti deve migliorare. C’è bisogno di puntare sull’integrazione degli universitari che a loro volta devono partecipate alla vita cittadina. Il massimo sarebbe convincerli a restare a Perugia dopo aver concluso il loro percorso di studi: si tratterebbe di intelligenze che arricchirebbero la città”.

Come racconta i suoi concittadini? “I perugini sono diffidenti. Hanno bisogno di un po’ di tempo per lasciarsi andare. Ma quando si sciolgono, sono persone di gran cuore. Non siamo un popolo che si lamenta. Abbiamo il nostro orgoglio. All’Europa vogliamo offrire la semplicità di questa comunità. Abbiamo la capacità di metterci a servizio dell’altro intorno a valori condivisi. Non abbiamo ambizioni. Non vogliamo occupare il palcoscenico, ma siamo pronti a offrire quanto abbiamo con generosità, consapevoli dei nostri limiti e delle nostre eccellenze. Certo, pur non essendo esibizionisti, abbiamo regalato in passato grandi slanci anche dal punto di vista culturale. Non cerchiamo la ribalta ma vogliamo conquistarla con le nostre capacità e con la nostra inventiva”.

Nel dossier di “Perugia 2019” si propone l’idea dei living hub, ossia degli incubatori culturali, sparsi per la città. “Ne è un esempio il progetto sull’ex carcere maschile nel cuore di Perugia che è da tempo abbandonato. Da spazio di sofferenza diventerà luogo della libertà creativa. E laboratorio dell’innovazione dove protagonisti saranno i giovani con quaranta start up”.

Quali opportunità dalla sfida europea? “Vogliamo far andare a braccetto la nostra storia e le nostre tradizioni con una visione innovativa. Lo considero un connubio rivoluzionario. Del resto, grazie alla candidatura, desideriamo rilanciare anche economicamente la città. Scommettendo sulla cultura si possono creare posti di lavori”.

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