martedì 17 maggio 2016
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«Si può essere liberi davvero se si conosce la propria storia criticamente». «Se è vero che la coscienza storica incrementa la libertà, credo che la storia incrementi la speranza». Sono espressioni di Pietro Scoppola (Roma 14 dicembre 1926 - 25 ottobre 2007). Le ha ricordate ieri lo storico ed ex ministro Andrea Riccardi per sottolineare la visione che Scoppola aveva della democrazia e dell’impegno politico, intesi come frutto di un rinnovamento culturale fondato sulle proprie radici, sulla coscienza dei propri errori, ma anche sull’esperienza religiosa. L’occasione è stata il convegno al Senato sul tema “Democrazia, impegno civile, cultura religiosa. Ricordando Pietro Scoppola”. All’incontro, aperto dal presidente del Senato Pietro Grasso alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, oltre a Riccardi sono intervenuti gli storici Agostino Giovagnoli, Giuseppe Tognon e Camillo Brezzi. Iniziativa che si deve non solo ai novant’anni dalla nascita dello storico e politico romano, ma anche alla concomitanza della pubblicazione per Il Mulino del volume Democrazia, impegno civile, cultura religiosa. L’itinerario di Pietro Scoppola, curato da Camillo Brezzi e Umberto Gentiloni Silveri. Un impegno, quello di Scoppola in favore della libertà e della democrazia partendo dallo sviluppo di una coscienza critica della storia che è stato sottolineato in tutti gli interventi, a cominciare da Grasso. Il presidente del Senato in particolare ha ricordato come Scoppola avesse rifiutato, dopo aver vinto il concorso a cattedra nel 1967, di insegnare all’Università di Trento per non sottostare all’imposizione sessantottina per la quale i professori avrebbero dovuto sostituire le lezioni con dei seminari di dialogo insieme agli studenti. Allo stesso modo il suo impegno politico in campo cattolico in favore della cosiddetta formula della “solidarietà nazionale” ne fece un obiettivo per un attentato delle Br, fortunatamente sventato. Il suo lavoro in favore della politica «molto più per quello che non riesce a essere che per quello che è», ha detto Grasso, culminò con l’elezione al Senato nella IX legislatura, ma anche nel rifiuto di ricandidarsi nel 1987, quando da tempo aveva previsto e denunciato la crisi dei partiti. In questa logica, ha detto Giovagnoli, deve essere interpretata la costante sottolineatura di Scoppola per la cura della democrazia: «In Italia – diceva – il senso di cittadinanza è sempre stato debole ed è necessario più che altrove approfondire le ragioni della vita democratica». Da qui, a partire dagli anni ’80, la critica severa dei partiti di massa ai quali fra le altre cose ricordava che non ci sarebbe stato futuro se «la democrazia continuava a piegarsi alla logica della conservazione dei privilegi». Così, pur partecipando da cattolico alla formazione dell’Ulivo, della Margherita e del Pd ha sempre sostenuto la necessità che nascessero dal basso e non dall’assemblaggio di classi dirigenti. Per lui, ha detto Tognon, «la politica era collegialità e per questo era contrario a ogni forma di presidenzialismo». Allo stesso tempo «rifiutava la doppiezza» e «insegnava che la laicità è cosa seria e non va interpretata a senso unico». Era «un uomo di coscienza – ha aggiunto Riccardi – ed è stato sempre respinto dai poteri politici», ai quali non mancava mai di ricordare «l’urgenza della formazione per ricucire lo scollamento fra politica, storia e cultura da cui nasce – spiegava – lo spaesamento del mondo globale». «Bisogna avere domande dentro – diceva – per fare domande alla storia. Altrimenti la storia resta muta». © RIPRODUZIONE RISERVATA Un convegno a novant’anni dalla nascita dello storico ne ha ripercorso la parabola politica e intellettuale Interventi di Pietro Grasso, Andrea Riccardi, Agostino Giovagnoli, Giuseppe Tognon e Camillo Brezzi Pietro Scoppola
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