L'influsso indiretto di Pierre Teilhard de Chardin sul Vaticano II ma anche il suo sguardo profetico e il suo giudizio mai affrettato sulla modernità e sul difficile rapporto tra fede e scienza. È la prospettiva ma anche la traccia ideale su cui si snoderà il convegno che si tiene domani e sabato a Roma presso la Pontificia Università Gregoriana dal titolo, certamente suggestivo: Sfide antropologiche oggi. Una lettura di Teilhard de Chardin per una evangelizzazione rinnovata. A 50 anni dal Concilio Vaticano II. Un’occasione, che permetterà soprattutto di riprendere in mano i testi più famosi dell’antropologo, filosofo e paleontologo gesuita francese Pierre Teilhard de Chardin (1881 – 1955) come Fenomeno Umano, L’Avvenire dell’uomo, L’ambiente divino ma anche di poter raccogliere il contributo e il confronto di studiosi importanti su questo tema: dal cardinale Paul Poupard a Rosino Gibellini, da Antonio Spadaro ad Annamaria Tassone Bernardi, da Thierry Magnin a Luciano Mazzoni Benoni, fino al vescovo ausiliare di Parigi Érich de Moulins-Beaufort. Lo sfondo ideale di questa due giorni sarà il pensiero di Teilhard, le sue grandi intuizioni sull’«evoluzionismo cristiano», la sua concezione del «Cristo cosmico», «la fede nel mondo» ma soprattutto l’influenza indiretta del suo pensiero sul Concilio Vaticano II e in particolare sulla Costituzione pastorale Gaudium et spes. Un’influenza quella di Teilhard sul Vaticano II sicuramente evidente ancora oggi ma riqualificata nella sua giusta interpretazione che ne fece come perito conciliare, il principale "avvocato difensore" della sua opera omnia, sospettata allora di modernismo, il gesuita Henri de Lubac. Di questo ne è convinto il vescovo ausiliare di Parigi Érich de Moulins-Beaufort: «Lo sforzo del padre De Lubac, fin dagli anni della commissione preparatoria al Concilio nel 1961 è stata quella di liberare Teilhard dal sospetto di modernismo e di "progressismo cristiano". Riportando le intuizioni di Teilhard nell’alveo della tradizione della Chiesa De Lubac era persuaso di non edulcorarle o privarle della loro novità ma di recepirle come Teilhard le aveva concepite, e di garantire loro una maggiore fecondità per la vita della Chiesa». Su un aspetto monsignor Érich de Moulins-Beaufort si sente di precisare la sua opinione sulla reale o presunta influenza di Teilhard sulla Gaudium et spes soprattutto nella parte riguardante il rapporto tra Chiesa e mondo: «Henri de Lubac ha scritto diverse volte che, se i redattori della Gaudium et spes avessero conosciuto meglio il pensiero di Teilhard, il testo avrebbe avuto una maggiore solidità. Io credo, che anche oggi, questa osservazione vada presa sul serio per capire nel profondo il vero Teilhard de Chardin». E sottolinea un particolare: «Nel contesto della nuova evangelizzazione che è quella entro la quale oggi dobbiamo ricevere l’insegnamento del Vaticano II, vale la pena domandarsi se l’uomo al quale ci rivolgiamo sia esattamente l’interlocutore di Teilhard de Chardin». L’attenzione alla modernità, al rapporto tra meccanizzazione e spiritualità, al mondo dei media, in particolare all’irruzione di internet e della sua rete sono, secondo l’attuale direttore de «La Civiltà Cattolica» Antonio Spadaro alcuni degli aspetti e dei punti di forza delle grandi intuizioni "quasi profetiche" sul mondo di oggi di Pierre Teilhard de Chardin.«Già nel 1947 padre Teilhard – osserva il gesuita siciliano – si rese conto prima di altri del valore e dell’"ascesa insidiosa" delle macchine calcolatrici che avrebbero agevolato l’uomo nella sua "rapidità di pensiero" come comprese la portata straordinaria di una rete di comunicazioni radiofoniche e televisive e come queste avrebbero cambiato la vita della collettività». Padre Spadaro, a quasi 60 anni dalla morte dell’ antropologo francese, il «gesuita proibito» secondo una felice definizione di Giancarlo Vigorelli, rimane colpito dalla grande «visionarietà profetica» che ha guidato questo intellettuale tra gli anni Quaranta e Cinquanta del Novecento e ricava anche dei punti di incontro con il pensiero del filosofo Pierre Lévy: «Teilhard attribuisce alla comunicazione tecnologica un ruolo fondamentale nella creazione di una coscienza comune, di una sorta di cervello costituito dalla interconessione non di fibre nervose non pensanti, ma di altri cervelli pensanti. È estremamente ambiguo ciò che si muove in questa sfera, ma noi certo ci siamo immersi, al di là di ogni giudizio. Teilhard vede il mondo come una grande rete interconnessa orientata verso un punto di salvezza». Il direttore letterario dell’editrice Queriniana e della rivista Concilium Rosino Gibellini si sofferma sul debito della teologia contemporanea, in particolare quella post-conciliare nei confronti del gesuita francese: «Egli non era un teologo di professione, ma le sue riflessioni hanno contribuito ad aprire un vastissimo campo ai teologi, in particolare, grazie al suo influsso essi hanno operato, come sosteneva Georges Crespy, una "dinamizzazione della cristologia". Ed è giusto affermare che Teilhard de Chardin è stato il più illustre e deciso rappresentante di una concezione incarnazionista del cristianesimo». Gibellini individua anche dei punti di convergenza teilhardiani con il pensiero di Joseph Ratzinger, il futuro Benedetto XVI, in particolare con un’opera scritta nel 1968 dall’allora giovane professore di Tubinga Introduzione al cristianesimo: «Nell’analisi di Ratzinger si fa notevole uso della visione di Teilhard de Chardin per illustrare la teologia dell’incarnazione nella sua dimensione cosmica e futurica e il gesuita francese diventa uno dei riferimenti più citati nell’argomentazione del suo pensiero, in questo libro che fece epoca». Un’attualità, quella di Teilhard, da riscoprire e reinterpretare, secondo Gibellini, con le dinamiche complesse del nostro mondo globalizzato: «In sintesi il gesuita francese, con la sua visione di totalità del divenire evolutivo del mondo – è l’argomentazione finale – fornisce la categoria cristologica del "Cristo universale", adatta ad inserire il cristianesimo, nel tempo della globalizzazione, in un contesto di relazionalità, dialogicità e collaborazione tra le culture e le religioni nel mondo».
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