mercoledì 29 giugno 2016
Wresinski, il prete che scoprì il «quarto mondo»
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Se l’Economist ha accusato papa Francesco di essere nientemeno che leninista, viste le sue posizioni contro il neoliberismo, chissà che definizione spregiativa avrebbe usato per uno dei preti di Francia più impegnati nel cambiare e sovvertire le condizioni di vita dei poveri...Joseph Wresinski è un nome che in Italia non dice moltissimo, mentre in Francia – e in decine di Paesi nel mondo dove è presente la sua creatura, il Movimento Atd Quarto Mondo – la sua fama è ancora viva oggi a distanza di 28 anni dalla morte (14 febbraio 1988). Soprattutto perché è a questo prete (non «di strada», ma «di miseria», si dovrebbe dire) che si deve l’intitolazione della Giornata mondiale di lotta alla miseria (17 ottobre), da lui inaugurata l’anno prima di morire al Trocadero, di fronte alla Torre Eiffel.Proprio in questi giorni ricorre il 60° anniversario del primo impegno di padre Wresinski contro la povertà: era il 14 luglio 1956 (non una data a caso scelse il sacerdote, nato nel 1917: la festa della République) quando entrò per la prima volta nella bidonville di Noisy-le-Grand in Piccardia, a nord-est di Parigi.  Era un campo di senzatetto allestito dall’abbé Pierre nel 1954, all’indomani della «sollevazione della bontà» proclamata dal celebre sacerdote dei clochard. Un conglomerato di condizioni di vita così spaventose che perfino Madre Teresa, quando venne a visitarlo, se ne uscì con un sintomatico: «Qui è peggio dell’India».Quasi un nuovo girone infernale per mancanza di igiene (Wresinski racconta quella volta in cui morì una persona e per mancanza di soldi il corpo rimase nella casupola della famiglia, rosicchiato dai topi fino a quando si trovò il modo di celebrare le esequie gratuitamente), per condizioni di sottoproletariato (si scontrò molte volte, il prete dei diseredati, con i sindacati che non volevano saperne di quelli di Noisy-le-Grand, considerati malvagi, nullafacenti, parassiti, disprezzati da tutti), per la mancanza di prospettive di miglioramento e di riscatto sociale.Lui, Wresinski, la miseria la conosceva di persona, come ben evidenzia la nuova biografia a lui dedicata, L’uomo che dichiarò guerra alla miseria (Paoline, pp. 234, euro 22), firmata da Georges-Paul Cuny. Già, perché Wresinski era figlio di quelli che chiameremmo oggi "migranti economici": padre polacco, madre spagnola, così poveri (e inadatto il genitore, poi fuggito per incapacità di mantenere la famiglia) da far conoscere ai figli la mancanza di tutto. E di far sperimentare al piccolo Joseph perfino il rachitismo per fame. «Joseph sarà marchiato a fuoco dall’esperienza della vergogna, che riempie del suo fiele fino a ingozzare con il suo avvilimento. La ricorderà così bene che a questo marchio d’infamia attribuirà prima di tutto l’orrore della miseria, la sua agonia morale, la sua distruzione dell’essere», scrive il biografo.Il giovane Joseph si impegna fin da ragazzo nella Gioventù comunista, dopo esser stato allevato nella fede cattolica. Ma lascia ben presto quella via e si inserisce nella Joc, la Gioventù operaia cristiana: da quell’esperienza maturerà la sua vocazione di prete per gli ultimi: «Essere prete nel mondo d’oggi significa raggruppare tutti gli uomini attorno ai più poveri, inscrivere i più poveri nell’avvenire del mondo».E dopo l’ordinazione sacerdotale (1946) e i primi anni di ministero, inquieto e insofferente verso le statiche pratiche pastorali di una Chiesa che non sentiva l’urto della scristianizzazione e restava "borghese" nel dire e nel fare, ecco il passo che gli cambia la vita: entra a Noisy-le-Grand e non vi uscirà più. Se non per coronare i suoi sogni: portare i più poveri all’Eliseo (ci riesce con il presidente Valéry Giscard d’Estaing, che fa visita a una famiglia in baracca), in Vaticano (numerosi gli incontri con Giovanni Paolo II, che lo appoggiò e lo elogiò molto) e all’Onu: la stima del segretario generale del tempo, Javier Pérez de Cuéllar, è attestata da queste parole: «Senza l’impegno personale di uomini come lei, i più poveri rimarranno degli sconosciuti, destinati all’umiliazione dell’assistenza».Nel raccontare la vicenda di Wresinski, Cuny evidenzia due particolarità notevoli nell’approccio di questo prete sociale. Anzitutto, le motivazioni religiose del suo impegno anti-miseria: «Cristo è nato fuori città, in una stalla. È morto fuori città, sulla croce. Ricordatevelo sempre: è il destino dei poveri». Già da giovane vicario scandalizzava la sua gente con scelte che sicuramente papa Francesco troverebbe pienamente azzeccate: ripara la chiesa con uomini che fino al suo arrivo non vi erano ammessi; invita alle funzioni i più poveri del paese, gli operai stagionali ad accedere in prima fila, sugli inginocchiatoi riservati alle famiglie ricche. Risultato: «In sei mesi, avevo svuotato la mia chiesa».Ma padre Wresinski aveva in animo qualcosa di peculiare, «evangelizzare gli inevangelizzabili – scrive Cuny –. Per Joseph sarà motivo di sofferenza il fatto che la Chiesa gli appaia distolta dai suoi doveri sotto la pressione dei ricchi e dei potenti». Tanto che è di Wresinski questa massima: «Se la Chiesa non evangelizza i poveri, nessun uomo è evangelizzato, nessun ricco, nessun potente». En passant, è da notare che moltissimi dei volontari che si accodano a Wresinski in questa sua lotta corpo a corpo con la miseria erano non credenti, personalità – anche altolocate, come Bernadette Cournuau, la segretaria di direzione di L’Oréal, il celebre marchio di cosmetici – che pur non credendo in Dio volevano credere al detto di Ireneo di Lione: «La gloria di Dio è l’uomo vivente».In seconda battuta c’è un altro tratto speciale nell’atteggiamento sociale di Wresinski. Aveva un’attenzione alla qualità della vita dei miseri e dei poveri veramente singolare. Nel campo di Noisy, ad esempio, in un posto dove le persone non sempre avevano da mangiare, lui portò la scolarità dei bambini dal 50% al 90%. Anzi: inventò delle biblioteche di strada dove persone di buona volontà giravano per le catapecchie e i tuguri dei quartieri più fatiscenti con libri e fumetti, perché tutti trovassero nella cultura una fonte di elevazione; fondò pure università popolari per i poveri, perché è dal sapere che può partire il riscatto del povero, non solo da un tozzo di pane.Fu inoltre protagonista di gesti d’anti-assistenzialismo clamorosi, come quando rovesciò per terra la minestra che veniva distribuita pubblicamente a Noisy. Quando si presentò al campo un’estetista chiedendo di fare la volontaria, e manifestando però il dubbio che le sue competenze non potessero servire in quel posto, Wresinski le ribattè: «Ogni uomo, anche il più squallido, nutre in sé un abbozzo e un segreto attraverso il quale entra in contatto con la bellezza». E fondò a Noisy un centro estetico, perché le donne povere potessero curare il loro aspetto. Perché di una cosa padre Wresinski era convinto, che ai poveri si dovesse la giustizia della dignità: «La necessità non uccide i valori, spinge a certe distorsioni di cui si ha vergogna. Ecco l’inferno della miseria: "Vorremmo essere diversi ma non c’è modo. Eppure il nostro onore ci costringerebbe a rimetterci a nuovo"».
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