venerdì 14 dicembre 2018
A Milano viene esposta per la prima volta in pubblico una raffigurazione della natività realizzata da Francesco Londonio con 70 personaggi di carta
Il presepe è avanguardia per tradizione, ed è sempre più popolare
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Non c’è niente di più tradizionale del presepe? No: non c’è nulla che sia più d’avanguardia. Pensiamoci: fu azione di novità assoluta il primo presepe, quando Francesco a Greccio fece crollare il diaframma tra uomo e storia sacra. Il presepe poi, in virtù di questo “dna del presente”, ha saputo vestirsi con i panni di ogni epoca e terra che ha attraversato. Lo abbiamo visto realizzato con ogni tecnica, anche sperimentali o solo bizzarre, e in tutte le ambientazioni possibili: le più azzardate, le più drammatiche. E la scena della Natività non solo non si scompone mai ma è disponibile a inglobare ogni novità: flessibile, malleabile e resistentissima resta sempre, inequivocabilmente “presepe”.

Vogliamo andare fino in fondo sul presepe come avanguardia? I presepi viventi sono performance collettive, in cui spesso arte e vita si sovrappongono. È gioco serissimo per grandi e bambini, che usa medium in- soliti: la stagnola è senza dubbio acqua e un la farina è neve. È uno spazio in cui ogni norma proporzionale collassa mentre il tempo esce dal suoi perni tra simultaneità di epoche e immobilità metafisica. E nessuno alza il dito per contestare. Il presepe è il paradigma di “opera aperta”: dati gli stessi elementi a ogni giro è diverso; oppure: ogni anno si amplia di un pezzetto. Un’espansione virtualmente infinita.

È così anche il presepe di Francesco Londonio, recentemente donato al Museo diocesano Carlo Maria Martini di Milano e che da oggi e fino al 10 gennaio è presentato (per la prima volta in pubblico) al Palazzo Pirelli. Gioiello di un Settecento intimo e famigliare, è costituito da sessanta figure dipinte e ritagliate su carta: da comporre e ricomporre a piacimento. Maria con il Bimbo, i Magi, i pastori, madri contadine con i figli, paggi, zampognari, vacche e capre, quinte sceniche. Gli elementi esotici sono solo la spruzzata necessaria per dare un aroma più speziato al dolce tono dell’Arcadia: tutto il resto è purissimo mondo lombardo, anzi brianzolo. Londonio, specializzato in scene campestri e in presepi, realizzò l’opera (anzi, le opere: perché qui si riconoscono almeno tre nuclei presepiali) negli anni 70 e 80 del Settecento per il conte Giacomo Mellerio e la sua villa del Gernetto a Lesmo. Non è un fatto isolato.

Nelle ricche dimore dalla Milano dei Lumi era prassi comune allestire presepi di carta nel tempo di Natale (anche Appiani, attestano le fonti, ne dipinse uno). Tra Londonio e Mellerio correva rapporto saldo di stima e amicizia e l’artista, anche con il contributo della bottega, dovette implementare le silhouette nel corso degli anni. Figure fragili, furono usate fino ai primi decenni del Novecento e quindi appese in alle pareti. Forma di devozione privata, con la donazione al Diocesano di Anna Maria Bagatti Valsecchi, diventano patrimonio della comunità: di cui il presepe, dopo tutto, è sempre stato uno specchio. Sempre se stesso perché sempre nuovo: ecco, questa è davvero tradizione.

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