mercoledì 16 ottobre 2019
Alla kermesse romana presentato il docufilm del regista libanese Debs che racconta il grande lavoro umanitario svolto dalla Comunità “unica al mondo” fondata nella capitale nel 1968
Una scena tratta dal docufilm “Le beatitudini di Sant’Egidio” diretto dal libanese Jacques Debs

Una scena tratta dal docufilm “Le beatitudini di Sant’Egidio” diretto dal libanese Jacques Debs

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Preghiera, poveri, pace. Sono le tre “P” alle quali si ispira la comunità di Sant’Egidio che da Santa Maria in Trastevere, a Roma, dove si raccoglie in preghiera ogni sera, raggiunge oltre settanta paesi nel mondo, per arginare guerre, ingiustizie sociali e malattie. A mostrare la vita e le attività di questa comunità unica al mondo, fondata nel 1968 da Andrea Riccardi, presieduta da Marco Impagliazzo e oggi radicata in tutti i continenti, è il documentario del regista e fotografo libanese Jacques Debs, Le beatitudini di Sant’Egidio, prodotto da Donatella Palermo e presentato ieri in preapertura della 14ª edizione della Festa di Roma. Da sempre attento nei suoi film a raccontare il rapporto dell’uomo con la trascendenza, la spiritualità, l’arte e la po-litica, Debs ha dunque realizzato il primo lavoro su Sant’Egidio che vede la partecipazione attiva della comunità. «Il regista ha ben presente la complessità del mondo mediterraneo ed europeo – ci ha detto Impagliazzo – e ha conosciuto Sant’Egidio proprio in questo intreccio di mondi restituito dal film. La povertà è vista con tanta speranza, con gli occhi del Vangelo delle Beatitudini, per cui i poveri sono beati: ed ecco il mondo alla rovescia. Per noi film rappresenta una “prima” nella nostra storia. Sono stati realizzati dei documentari da Rai Storia usciti per il 50° anniversario di Sant’Egidio lo scorso anno, ma questo è il primo vero film sulla comunità. Gli attori sono anziani, malati, poveri e disabili e la parola viene data alle persone più periferiche, come vorrebbe papa Francesco. Nessuno ci aveva mai proposto un film così, né noi lo avevamo sollecitato. Debs ha voluto scavare a partire da una visione spirituale delle cose».

«Si tratta di un film ricco di contenuto – continua il Presidente della Comunità – che fa riflettere, ed è come un grande viaggio, come quello compiuto dal dipinto di Daniela Parisini, che da Trastevere arriva fino in Mozambico. Verrà trasmesso da Rai Tre a febbraio, in coincidenza con il nostro anniversario, e capiremo se è possibile farlo circolare nelle scuole, nelle parrocchie e tra le associazioni. Nel film ho ritrovato la nostra vita, molta profondità e tanto ascolto del mondo dei poveri». Uno dei membri della comunità, Mario Giro, dice nel film: «Si diventa parte di Sant’Egidio cominciando a condividerne la vita per l’assistenza ai poveri, la preghiera e la vita spirituale. Una cosa è certa: siamo la dove sono i poveri, anche se lontani, dove ci sono le crisi, dove c’è da ricostruire un tessuto sociale». E così entriamo nella «casa di amici», che vivono come una famiglia, con tanta gioia e gentilezza, osserviamo Daniela Parisini, pittrice, trasformare una crisi spirituale in un turbine di colori sulla tela, Diego Proietti lavorare come cameriere alla ce- lebre Trattoria degli amici dove persone disabili sono parte integrante e soci di una cooperativa sociale. Assistiamo all’incontro con papa Benedetto e con papa Francesco, che sottolinea quanto sia bello il confondersi di chi aiuta e chi è aiutato. Entriamo nella sede di Prima Valle, nella scuola frequentata da bambini provenienti da tutto il mondo, nella mensa dove tanti volontari servono a tavola un pasto caldo, nella basilica trasteverina che a Natale si trasforma in una splendida sala da pranzo per i poveri. E andiamo persino in Mozambico, tra i malati di Aids, dove Sant’Egidio ha offerto il suo aiuto per avviare una terapia. E sempre per il Mozambico la comunità è diventata mediatore di pace, nel 1992, quando il presidente Joaquim Chissano e i guerriglieri si sedettero finalmente allo stesso tavolo. «La capacità di pace e la sua forza – commenta Riccardi nel film – sono state una rivelazione per Sant’Egidio».

«La miseria più grande è l’isolamento – dice Impagliazzo – e la solitudine è la prima causa di morte. Il mondo è una cosa da costruire insieme a partire da fondamenta comuni ». E ancora Riccardi: «Sant’Egidio è una comunità che vive nella Storia. Non siamo mai stati un “io”, ma sempre un “Noi” e se il Concilio Vaticano II ha messo nelle mani dei giovani Il Vangelo, noi dal 1968 abbiamo cercato di essere una risposta attraversando il mondo». «Da soli non ce la si fa nel mondo di oggi – dice ancora Impagliazzo – bisogna conoscersi, unirsi, fare comunità. La guerra è la madre di tutte le povertà, e noi siamo una comunità cristiana che ha assunto su di sé la responsabilità della pace. Ce lo ha chiesto il Signore, lo abbiamo letto nel Vangelo, ma nessuno ci ha dato un mandato ». A Sant’Egidio si deve poi anche l’apertura di corridoi umanitari e l’arrivo di rifugiati dai campi profughi del Libano. «L’idea ci è venuta in mente dopo aver aver pianto per la morte di tante donne e bambini che cercavano di arrivare in Europa ». «Il grande dramma del Novecento è stato che la cultura e la politica della solidarietà si sono allontanate dalle loro radici spirituali. Ripensare a una solidarietà strettamente connessa alla spiritualità sarà la strada di Sant’Egidio per il prossimo secolo».

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