martedì 21 luglio 2020
Scomparsa domenica a 97 anni, l'ex proprietaria del “Corriere della Sera” diede vita nel 1975 al Fondo ambiente italiano, che ha avuto un grande ruolo nella promozione dei beni storico-artistici
Giulia Maria Crespi

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Ci sono persone che vivono di luce propria e altre di luce riflessa. Non è questione di soldi, che pure aiutano. Dipende dal carisma. Quello non si compra. Persone come Giulia Maria Crespi non ti colpiscono per quel che dicono e neppure per come lo dicono, ma perché lo hanno detto loro. Scomparsa domenica a 97 anni, la ex proprietaria del “Corriere della Sera” apparteneva a tale lignaggio. Queste persone non sono mai sole. Sono famiglie, relazioni, ambienti. Combattono la decadenza dei corpi e delle idee vestendo i panni della Storia. Nei quali la “zarina” si trovava a proprio agio fin da bambina, quando fu tirata su da precettori privati, come si conviene al rampollo di una dinastia di cotonieri lombardi.

La zarina: quell’epiteto le fu affibbiato dai giornalisti del “Corriere”, che erano i suoi dipendenti. Non deve averle fatto piacere. Le ricordava che nella dinamica hegeliana della lotta di classe era capitata dalla parte “sbagliata”, almeno secondo le categorie degli anni Settanta. Allora, il Corrierone era una società di famiglia e come tutte le proprietà dell’aristocrazia industriale italiana aveva una linea politica liberale. Talmente né di destra né di sinistra che negli anni Venti era fascista e cinquant’anni dopo era pronto ad abbracciare la contestazione sessantottina, che aveva aveva fatto breccia nei salotti radical-chic, dove la zarina era una bandiera. Rimasta sola a gestire la proprietà del giornale per la malattia del padre, all’inizio degli anni Settanta, la signora Crespi, cui non difettava il carattere deciso dei grandi imprenditori, prese talmente alla lettera il ruolo di accomandataria da licenziare Giovanni Spadolini e spostare decisamente a sinistra il “suo” giornale. Si guadagnò in questo modo il secondo epiteto – “guatemalteca” – firmato da Montanelli.

Capiamoci: sul fatto che la Crespi fosse “comunista” ci sarebbe parecchio da ridire. Nella sua casa museo di corso Venezia, tra i Canaletto, gli arazzi e le livree, puoi pensare che si aggiri ancora la “milanese gioventù” delle Cinque giornate, ma non le guardie rosse del Congresso di Pietrogrado. Sicuramente, la vedova Paravicini e Mozzoni – entrambi i mariti erano nobili – rimase contagiata dalle inquietudini dell’autunno caldo. Lei, che era cresciuta in una famiglia che guardava agli operai con la benevolenza paternalistica dell’Ottocento e non aveva mai messo piede in una scuola pubblica, fu impressionata dal tormento delle fabbriche e delle università al punto di ripudiare la tesi spadoliniana degli “opposti estremismi”. Il suo giudizio politico pendeva dunque da una parte e, per un lusso riservato ai pochi che possono e che hanno il coraggio di concederselo, fu testimone delle proprie idee fino alla fine. Quest’ultima non tardò a spuntare dai bilanci del “Corriere della Sera”. Che sia stato per i “soviet in redazione” creati dal direttore, Piero Ottone, o per i passivi della testata, nel 1974 Giulia Maria dovette cedere le quote ad Andrea Rizzoli. Per via Solferino si apriva una nuova stagione. Non più quieta.

Nei cinquant’anni successivi, la signora Crespi si trovò ad esercitare più il ruolo di Madame de Staël dei salotti meneghini che quello della Rosa Luxemburg descritta dai suoi detrattori. Appassionata di arte dall’infanzia (Fernanda Wittgens, prima di dirigere la pinacoteca di Brera, fu sua istitutrice) diede vita nel 1975 al Fondo ambiente italiano (Fai), che ha avuto un ruolo importantissimo nella promozione dei beni storico-artistici. Ispirò numerose campagne, alimentate da una sensibilità sempre più accentuata per i temi ambientali. Fu coltivatore diretto perché tra i possedimenti di famiglia c’è la tenuta della Zelata di Bereguardo, nel Pavese, dove è scomparso tragicamente uno dei suoi figli. Fece di Cascine Orsine uno dei centri italiani dell’agricoltura biodinamica, anche in questo caso per un mix di esperienza esistenziale ed educazione culturale. Nel 1968 fu aggredita infatti dal cancro al seno. Operata da Umberto Veronesi, si curò con le terapie naturali, maturando uno spiritualismo panico che la riconduceva a Rudolph Steiner. Amava ripetere: «Montanelli scrisse di me che seguivo le magie in agricoltura e andavo nei campi sotto il plenilunio a piantare i corni…». Difficile dargli torto (a Montanelli), visto che il corno letame è considerato una pratica eccentrica da qualsiasi agronomo. Eppure, Giulia Maria Crespi ci credeva a tal punto da investire centinaia di ettari in questo tipo di tecnica agraria. Convinta fino in fondo di poter cambiare il mondo riportandolo ad una condizione naturale e mescolando con nonchalance degli ingredienti tra loro molto diversi. Steiner, appunto, e la Laudato si’, in quanto, come ha dichiarato ad “Avvenire” nel febbraio del 2016, Bergoglio «segue san Francesco, che è il mio grande ispiratore da quando avevo dodici anni». © RIPRODUZIONE RISERVATA

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