martedì 8 giugno 2021
Il poeta Giampiero Neri è nato a Erba il 7 aprile 1927

Il poeta Giampiero Neri è nato a Erba il 7 aprile 1927 - archivio

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«Piazza Libia è un grande quadrato. Dai quattro angoli del mondo provengono quattro vie, tutte alberate. Nel bosco della piazza sono duecento gli alberi che dimorano, platani in prevalenza ma anche pini, arbusti di melograno, forsizia e altre specie». Li ha contati tutti, uno per uno, Giampiero Neri, autore di Piazza Libia (Ares, pagine 160, euro 14,00) la sua nuova raccolta di frammenti poetici in prosa, bozzetti catturati con amabile attenzione fra il 'campionario di varia umanità' che anima quell’angolo cittadino rimasto fuori del tempo. Il poeta novantaquattrenne è stato definito 'Il maestro in ombra' da Alessandro Rivali nella sua biografia perché, ci spiega, è stata tardiva la vocazione letteraria e ancor più la pubblicazione, si è delineato a poco a poco nel suo personalissimo stile di ascoltatore di ricordi, di luoghi, di voci. In Piazza Libia abita da sessant’anni e ne ha fatto un palcoscenico per tanti personaggi e comparse che ogni giorno la popolano e l’attraversano. «Piazza Libia è un microcosmo che ha al suo centro l’edicola - afferma Neri, che partecipa quotidianamente al rito dell’acquisto del giornale ed è inevitabile riconoscersi, scambiare due parole. Io in particolare mi sono incuriosito di un uomo senza fissa dimora che la mattina stazionava su una panchina vicino al giornalaio, e mi sono messo a parlare con lui, scoprendo un vero talento di eloquenza e saggezza». Quest’uomo, il signor Giovanni, è il protagonista del libro, discute di storia e di psicologia, è un campione di sudoku, ammira le donne come opere d’arte, è innamorato senza speranza di Maria, indigente come lui e con un figlio malato, alla quale scrive bigliettini romantici. È un filosofo, a suo modo: «I no- stri difetti ci caratterizzano - dichiara nel libro - sono la nostra vera natura. Il resto è camuffamento, che usiamo per apparire quello che non siamo». C’è da chiedersi se il ritratto di Giovanni sia veritiero, o trasfigurato dall’intento letterario. «Difficile dirlo. Tutto quello che scrivo di lui - sottolinea Neri - è vero, io mi metto in ascolto delle persone che mi attorniano, trascrivo le loro parole che mi colpiscono, d’altronde non si può trasferire sulla pagina la complessità di un essere umano. Io ho concepito una vera ammirazione per il signor Giovanni, tanto intelligente ma inutilizzato dalla società, che non sa che farsene. Sono più interessato io a lui che lui a me. Al mattino andiamo al bar, prende un latte macchiato e parliamo. Gli ho raccontato del professor Fumagalli, che è diventato un suo eroe e ne cita le battute». Il professor Fumagalli è un altro personaggio chiave per Neri, una figura importante nella sua vita, una presenza fissa nei suoi libri. «Era mio professore di lettere alla Medie a Erba, dove sono nato. Era una persona straordinaria, aveva il dono di incantare con le parole, di meravigliare gli ascoltatori con sorprendenti paradossi. Ho raccontato più volte questo aneddoto emblematico su di lui: abitava ad Arosio e ogni pomeriggio prendeva il treno per Inverigo, dove si recava in un caffè a tener banco tra un gruppo di frequentatori abituali, che una volta gli chiesero perché non si trasferisse addirittura a Inverigo. 'E dopo, dove vado?' era stata la sua incredibile risposta, arguta ma anche profonda. Quell’uomo mi ha illuminato la vita». Sembra che Neri parli del suo Virgilio, ma in realtà non è così: «Magari lo fosse stato! Certo ha avuto un profondo ascendente su di me, con lui ho instaurato un legame durato tutta la vita, fino a quando è morto, settantenne, nel 1980. Non ho mai interrotto il dialo- go con lui, per questo sento ancora il bisogno di rievocarlo. Ritornerà anche nel mio prossimo libro». Ritornerà anche il signor Giovanni? «No, però è contento che abbia scritto di lui. Quando stavo per concludere il libro gliel’ho annunciato e mi ha chiesto di averne una copia, ma senza soffermarsi più di tanto, ha i suoi pensieri, che lo interessano di più». Questo è il mondo di piazza Libia che anche durate la pandemia è rimasto uguale a se stesso: «Nessuno dei frequentatori abituali si è ammalato e la piazza è rimasta come una piccola oasi di normalità. È cambiata però la gestione dell’edicola: al vecchio giornalaio che sulla base del quotidiano acquistato faceva una statistica in relazione agli umori, allo stato sociale e all’orientamento politico, è subentrata una donna più giovane e molto gentile, che ha conquistato la clientela con un particolare repertorio di compiacenza formale». La presenza femminile, nel libro, è tratteggiata con tenui colori pastello di cortesia e rispetto. «Sì, è naturale, è un corollario spontaneo. » consente Neri, quasi timido. Le donne nel libro appaiono come immagini, cammei. Al caffè c’è una barista romena attenta quando Neri cita un poeta romeno; a volte capita l’architetta Alessandra, «che parlando dava sempre l’impressione che a essere importante fosse il suo interlocutore» poi c’è Valentina, invitata al brindisi per il cinquantaquattresimo compleanno di Giovanni, «riservata e cordiale insieme, passava davanti a noi come volando». E la domenica piazza Libia risuona delle voci di tante lavoratrici ucraine che discutono animatamente nella loro lingua. Insomma, confida Neri, «Piazza Libia è il mio osservatorio e dalle sue minuzie si può ricavare l’immagine di un mondo più vasto».

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