giovedì 19 settembre 2013
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Non chiamatela l’Allevi in gonnella. Se l’è sentito ripetere fin troppe volte e Giulia Mazzoni, non a torto, non ci sta: «Siamo due persone diverse e due artisti diversi, due sensibilità e mondi interiori diversi», dice. Eppure per la 24enne pianista toscana, studi ancora in corso al Conservatorio di Milano, il passaggio è quasi obbligato, come per tutti coloro che hanno deciso di tentare la via del "pianoforte solo". Ma Giulia precisa la linea genealogica: «Allevi fa parte di una nuova generazione di pianisti che partono dal minimalismo di Nyman e Glass. Se devo trovare un vero capostipite italiano, lui, come tutti noi, è in realtà figlio di Ludovico Einaudi». E l’impronta di Michael Nyman è ben evidente nelle tracce di Giocando con i bottoni, il suo disco di esordio, che porterà in concerto il 16 ottobre al Blue Note di Milano e il 2 dicembre al Parco della Musica di Roma. «Con lui – racconta – è nata un’amicizia. Un giorno mi arriva una mail a firma di Michael Nyman. Penso sia uno scherzo… Sfido questa ipotetica celebrità con un appuntamento su Skype. E al video appare veramente lui: credo di aver perso tre o quattro anni di vita. Mi ha spiegato che un amico comune gli aveva fatto sentire un mio brano. Ci vediamo sempre quando viene in Italia. È un amico e un maestro». I brani del disco sono un’evocazione del mondo dell’infanzia. Ma a 24 anni si può avere già la nostalgia di quando si era piccoli?Il mio vuole essere uno sguardo all’indietro per guardare in avanti. L’infanzia è stato uno dei periodi più belli della mia vita, mi piaceva raccontare foto del passato. Ma al di là degli episodi, voglio affrontare un concetto più ampio: le emozioni per le piccole cose. Da adulti perdiamo questa capacità. Eppure ogni giorno possiamo assistere al miracolo che ci circonda. Io cerco di raccontare con semplicità quello che vivo. Per me suonare è una sorta di seduta di psicanalisi, un dialogo tra me e lo strumento in cui rivivo momenti, ritrovo foto del passato, emozioni che ho provato. Ogni pezzo è un frammento di me. Il rapporto con lo strumento è profondo. Suonare per me è come pregare.Se l’esigenza di dare forma ai propri sentimenti è una ragione sufficiente per fare musica, lo è anche per portarla agli altri?L’arte deve essere comunicazione. Voglio raccontare con semplicità la realtà che vivo. L’amore per la vita, per le persone, per le piccole cose, per il pianoforte. Io racconto. Poi ognuno è libero: sono musiche senza parole, ognuno troverà il proprio senso. Io cerco di rivivere quei momenti, quelle emozioni. Che tipo di pubblico pensa di avere?Io parto dalla musica classica e inserisco in questo linguaggio altri elementi. Per questo mi piace pensare a un pubblico vasto, che fonda gli amanti della musica classica, il rock, il pop. Vorrei che il mio pianoforte fosse universale, senza distinzioni. Non mi piace definire la musica, vorrei che uno ci vedesse quello che vuole. È contemporanea perché è dei nostri tempi. Il suono non ha limiti, è libero. È questa libertà che voglio poter esprimere nella mia musica.E Giulia Mazzoni cosa chiede alla musica degli altri?Chiedo che riesca a colpire un lato della mia interiorità e curiosità. Non c’è un criterio preciso di come la scelgo: i miei ascolti sono molto vari. Nell’iPod ho Chopin, Philip Glass, David Bowie, Roberto Cacciapaglia, Florence and the Machine.È così anche per i colleghi di Conservatorio?Dipende dalle persone, non tutti sono curiosi, molti preferiscono, non so se per paura o altro, porsi dei limiti e non affacciarsi e guardare oltre la finestra. Ma se lo facessero scoprirebbero strade e realtà nuove. Prima di giudicare dobbiamo assaggiare, e non fermarsi alla copertina.
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