sabato 30 maggio 2015
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L’idea è nata poco tempo dopo che Benedetto XVI ha deciso di essere presente sui social network. Era il dicembre 2012. «I suoi tweet venivano lanciati in 81 lingue e pochi giorni dopo abbiamo cominciato a ricevere lettere indirizzate al Papa nelle quali si chiedeva di inserire anche il latino. Ho fatto una proposta specifica al capo ufficio dei latinisti, il cappuccino padre Antonio Salvi: ero sicuro che avremmo avuto un buon numero di seguaci». A parlare è monsignor Daniel B. Gallagher, latinista dell’Ufficio lettere latine della Segreteria di Stato Vaticana e curatore di @Pontifex_ln, il profilo Twitter del Papa. Un giovane sacerdote americano della diocesi di Gaylor salito alla ribalta in questi giorni per aver tradotto in latino un successo internazionale per ragazzi, Il diario di una schiappa, di Jeff Kinney, già tradotto in 44 lingue e venduto in decine di milioni di copie. La versione latina si intitola Commentarii de inepto puero (Il castoro, pagine 218, euro 14,00).Torniamo ai tweet... Ma chi sono i lettori in latino?«Il pubblico principale è costituito da latinisti, insegnanti, studenti. Coloro, insomma, che si occupano di latino e hanno piacere di leggere in questa lingua, oppure che studiano il latino e usano i tweet per esercitarsi, per trovare agganci all’attualità».Sembra di capire, quindi, che lo scopo principale dei tweet latini del papa sia didattico.«Certamente. Quando traduciamo la frase del Papa spesso ci ispiriamo a un grande autore classico. Quello che si collega al testo sulla base di una parola o del contesto della frase. Quindi traduciamo seguendone lo stile. La speranza è che i nostri lettori individuino l’autore e magari anche l’opera alla quale ci siamo ispirati e poi lavorino sopra la frase ponendola in varie forme, utilizzando casi diversi. Noi latinisti giochiamo su questo ed è un ottimo esercizio per chi vuole imparare».Un esempio di autore latino scelto per un evento particolare?«Per i mondiali di calcio ci ispirammo al libro V dell’Eneide di Virgilio. Vi si parla di Enea che in Sicilia e organizza giochi in onore del padre, i certamen. In quell’occasione siamo arrivati a 140 caratteri».Si diverte anche il Papa?«Francesco non usa il latino come Benedetto, che era entusiasta dell’iniziativa, ma lo comprende ed è favorevole al nostro lavoro. Anche lui apprezza molto la cultura e ci sostiene sempre».È vero che nel mondo c’è grande interesse per il latino?«Nella Chiesa si assiste a una ripresa. Anche in tante università, soprattutto in Germania, in Gran Bretagna, negli Usa, c’è entusiasmo per la cultura classica. E noi riceviamo molte espressioni di ringraziamento da docenti di tutto il mondo, anche atei e appartenenti ad altre religioni che ci ringraziano per il contributo a mantenere viva questa lingua».I giovani sono interessati?«Direi che molti subiscono il fascino del latino. Io sono stato fra quelli. Ricordo gli inni in latino, il canto gregoriano. Ecco, il canto gregoriano, soprattutto fuori Italia, è molto apprezzato dai giovani. Attrae la pace di quella melodia, di quelle parole. Inoltre il latino fa scoprire l’universalità della Chiesa: alla messa in latino nella basilica di San Pietro ci sono persone da tutto il mondo che non capiscono, eppure sono spiritualmente attente, unite. Il latino ci fa sentire e vivere le nostre radici cristiane e classiche. Ci fa capire la missione della Chiesa capace di plasmare la cultura classica accogliendone la lingua».Qualcuno dice che il fascino del latino nasca dal fatto che chi ascolta non comprende.«Non è vero. Ricordo quando a scuola, avevo 16 anni, abbiamo cantato il Requiem di Mozart. È stata una bella esperienza per tanti miei compagni. Io mi sono detto: "Prima o poi questa lingua la imparo". E l’ho fatto. Ora che lo scrivo e lo parlo correntemente posso dire che il fascino del canto in latino, della spiritualità del gregoriano è sempre molto forte, anche se più consapevole. Col greco non ho mai avuto la stessa esperienza».La maggior parte degli studenti italiani non ama il latino e la scuola non ne fa comprendere l’utilità.«Perché a scuola continua a essere insegnato in maniera troppo analitica. Anche io ho odiato il latino il primo anno di studio. Invece si può imparare ad amare il latino in modo più naturale fuori dalle gabbie delle declinazioni e delle coniugazioni. Non è una lingua parlata, ma lo è stata per secoli. Non era per i più bravi, ma era la lingua di tutti. Una lingua modernissima perché ha attraversato la storia adattandosi a situazioni ed epoche diverse restando uguale a se stessa. Anche oggi, quindi, è alla portata di tutti e si può imparare come le altre lingue. Un po’ come la musica di Mozart: se la propongo in maniera adeguata all’ascolto di ragazzi che sentono solo rock difficilmente ci sarà chi dice che non gli piace. Ecco nei testi dei classici latini c’è dentro una sinfonia ed è questa che bisogna insegnare. Non bisogna nemmeno avere paura di proporre Cicerone perché i suoi scritti sono una fonte di bellezza e offrono una quantità di esempi grammaticali. È anche importante tenere presente il contenuto, cercare testi che abbiano un significato per gli studenti di oggi. Poi, come si fa con l’inglese, bisogna insegnare parlando in latino».In questo senso può essere utile la sua traduzione del Diario di una schiappa.«Abbiamo fatto solo due settimane fa un esperimento al Liceo D’Azeglio di Torino cercando di giocare con brani tratti dal mio libro, coi vocaboli utilizzati per tradurre concetti e dialoghi moderni ed è stato molto interessante».Quale libro consiglierebbe per insegnare questa lingua?«È validissimo il metodo del danese Hans Henning Orberg che insegnava agli studenti come se si trovassero catapultati in una città abitata solo da antichi romani. Il suo libro Lingua latina per se illustrata, elaborazione dell’originario Lingua Latina secundum naturae rationem explicata, fa davvero comprendere come il latino possa essere considerato una lingua ancora viva».
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