domenica 6 dicembre 2009
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Che vi siano occhiuti satelliti, capaci di "leggere" un giornale aperto da qualcuno seduto su una panchina in città, è noto da tempo ed è un tema diffuso nella giallistica e dietrologia variamente spionistica; se vi sia poi qualcuno veramente interessato a usare un sistema così costoso e macchinoso per dare una sbirciatina alle opinioni espresse da qualche columnist e comunque disponibili in internet, è altra faccenda. Ma certo quello dei satelliti orbitanti sopra l’orizzonte del visibile è un insieme molto vasto, variegato e ricco di potenzialità che forse la politica, l’economia, la cultura potrebbero sfruttare meglio di quanto fatto sinora, e non solo per le comunicazioni o per le previsioni meteorologiche. L’Indice di vegetazione normalizzato (Normalized Difference Vegetation Index, Ndvi) «permette di monitorare il diffondersi delle malattie tra le colture, più o meno come si può seguire l’andamento di un ciclone»: lo spiega Adam Voiland in Space Daily di pochi giorni fa. Le implicazioni sono notevoli: si può prevedere l’andamento dei raccolti nelle diverse aree del mondo e prevenire il diffondersi di patologie e infestazioni che (quali le ondate di cavallette), soprattutto in continenti come l’Africa o l’Asia, possono avere conseguenze disastrose. La tecnica era già stata individuata nei primi anni ’70 e nel 1985 ha permesso a un gruppo di ricercatori della Nasa di ottenere una mappa completa della vegetazione africana, ma ancora è praticamente sconosciuta al di fuori della comunità scientifica: lo lamenta la studiosa Molly Brown, del centro spaziale Goddard del Maryland, secondo la quale invece un uso appropriato di questo strumento sarebbe cruciale «per aiutare a portare il cibo in tavola a una popolazione mondiale che cresce di numero mentre il clima cambia e aumenta la pressione sui sistemi agricoli». Il Ndvi si basa sulla proporzione tra la quantità di radiazioni infrarosse e la quantità di luce visibile riflesse dalle foglie. Poiché le piante sane assorbono molta luce nello spettro del visibile, che è usata per la fotosintesi, esse riflettono meno luce rossa e hanno un Ndvi più alto delle piante malate. Gli stessi rapporti caratterizzano la aree ad alta densità di piante o a bassa densità. Per esempio, la mappatura del 1985 mostra valori dell’Ndvi vicini allo zero per le zone del Sahara o del Sahel e vicini a uno per le zone dell’Africa centrale. Ormai da quasi ventinove anni il Ndvi documenta l’evoluzione della fotosintesi nelle varie aree della Terra, e sono note le cause principali delle variazioni rivelate da questo indice in tutto questo periodo. Così oggi, paragonando le rilevazioni correnti con quelle dell’anno precedente, si possono individuare segnali che indicano se in una certa zona colturale i raccolti saranno floridi o deficitari a causa della siccità, di infestazioni di insetti o per altri motivi. «Lente che fa più largo uso del Ndvi – riferisce Adam Voiland – è il Servizio agricolo estero (Fas) del ministero dell’Agricoltura statunitense (Usda), che osserva la produzione agricola globale, con particolare attenzione su quindici colture, tra cui frumento, mais, soia e riso, allo scopo di individuare i valori di mercato di questi prodotti che sono alla base delle economie di tutti i Paesi, sviluppati e non. Invece l’Agenzia statunitense per l’allerta precoce della diffusione della fame (Fews Net) usa il Ndvi per prevedere momenti di carestia e carenze nei raccolti, e fornisce tali dati momento per momento a una ventina di Paesi africani, come anche a Guatemala, Haiti e Afganistan». Certo le rilevazioni di per sé non salvano nessuno, ma forniscono indicazioni preziose perché i governi e gli organismi internazionali possano mobilitarsi per tempo a fronte di emergenze: già nel 2008 tali dati hanno consentito di prevenire gli effetti della siccità in Iraq e in Afganistan. E, come esempio di miglioramento nella "gestione ordinaria" della produzione di alimenti, nel sud ovest degli Stati Uniti tali rilevazioni sono usate dagli allevatori per individuare le aree migliori per il pascolo. Per aleatorie che siano, le previsioni attuali sull’andamento demografico indicano che tra una cinquantina di anni la popolazione nel mondo potrebbe superare i nove miliardi. Ne consegue che la quantità di terra usata pro capite per l’alimentazione potrebbe diminuire, il che avrebbe effetti nefasti là dove l’agricoltura non usa tecnologie avanzate. Ma il monitoraggio diffuso potrà forse generare una nuova coscienza del problema e aiutare a volgere la globalizzazione verso una collaborazione solidale.
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