mercoledì 8 luglio 2009
Il carteggio tra il fondatore del Partito Popolare e il meridionalista rivela l'intensa collaborazione tra i due illustri esuli antifascisti; nonostante le diverse ideologie e gli scontri sul ruolo della Chiesa.
COMMENTA E CONDIVIDI
Nel settembre 1927 a Savona, al processo contro Carlo Rosselli e Ferruccio Parri per l’espatrio clandestino di Filippo Turati e Sandro Pertini, unica giornalista straniera a seguire il dibattimento fu Barbara Barclay Carter, stretta collaboratrice di don Luigi Sturzo, all’epoca esule a Londra. Ma a promuovere il viaggio nella città ligure era stato – con l’aiuto del fondatore del Partito Popolare – Gaetano Salvemini. La notizia è contenuta nel fitto carteggio (150 lettere, 92 dell’esponente liberale, 47 più 7 minute del sacerdote di Caltagirone, che coprono il periodo dal 1925 al 1957) tra i due esponenti dell’antifascismo che il giornalista e studioso del movimento cattolico Giovanni Grasso ha recentemente pubblicato (Rubbettino, pp. 146, euro 20) per l’Istituto Luigi Sturzo. Nelle pagine, che rivelano un intenso lavoro di ricerca che ha portato alla luce non pochi documenti inediti o pressoché sconosciuti, prende forma e consistenza lo stretto rapporto che si instaura tra don Sturzo e Salvemini, fatto di amicizia, stima e rispetto reciproco che va ben oltre le tensioni, la diversità di giudizi, le polemiche anche pesanti che non mancano (come quella sul Concordato). I corrispondenti sono due autentici democratici e due decisi antifascisti – anche se nel corso degli anni avvertono, quasi con tristezza, che il regime sarà un fenomeno tutt’altro che effimero – e non cessano di lottare con gli scritti, con le riviste che progettano (come Rinnovamento), con interviste e conferenze contro il totalitarismo in Europa e poi in America. Nelle lettere emerge la resistenza, spesso segnata dalla miseria e dall’isolamento, di quegli esuli politici che non avevano perso comunque la speranza di un futuro diverso e migliore per il Paese. Grasso si sofferma non poco sulle vicende personali e anche drammatiche di due esponenti del Partito Popolare, Giuseppe Donati e Francesco Luigi Ferrari. Quest’ultimo è molto spesso il tramite, ascoltato, tra Sturzo e Salvemini ed è anche tra gli organizzatori materiali della «nobile e tragica impresa» di Lauro De Bosis, il poeta inabissatosi con il suo velivolo in mare il 3 ottobre 1931 dopo aver lanciato su Roma centinaia di volantini contro il regime. Grasso, nel sottolineare il giudizio di De Bosis sul fondatore del Popolare, da lui definito «il più serio di tutti gli esuli», sostiene che Sturzo e Salvemini furono certamente «i padri nobili» di quel volo propagandistico.Ma il libro rileva come nel lungo rapporto tra i due resti una diversità di fondo, che non riguarda certo la scelta della democrazia, ma tocca la fedeltà piena di Sturzo alla Chiesa – una delle direttrici fondamentali della sua vita sacerdotale, nota Grasso – che non viene scalfita da eventuali scelte ecclesiastiche discutibili. Per Salvemini – che non esita in più occasioni a definire il sacerdote di Caltagirone un «giansenista» – un cattolico non poteva essere profondamente e pienamente democratico senza disobbedire al Papa e alla dottrina della Chiesa. Così sul Concordato tra i due si sfiora la rottura («Tra noi e lui non è più possibile alcuna azione politica comune»). Ma nel 1943 Salvemini scrive che sarebbe un errore una denuncia unilaterale del trattato perché «non importa quando sia stato stipulato, contiene infatti la rinuncia solenne e definitiva alle rivendicazioni papali e chiude per sempre la questione romana». Insomma, le tensioni tra l’anticlericale Salvemini e il cattolico Sturzo – che si ripetono anche nel 1952 in occasione della cosiddetta «operazione Sturzo» per le elezioni di Roma – non fanno venire meno la comune passione per la democrazia. E il carteggio curato da Grasso lo conferma.
LE LETTERE«Caro Sturzo, la nuova Italia per fortuna la faranno altri»Cambridge, 13 gennaio 1934Caro Don Sturzo,Le sono molto riconoscente dei Suoi amichevoli auguri e li ricambio di tutto cuore. Come Ella ben dice, non possiamo augurare oggi a noi stessi e agli amici che una cosa sola: conservare la pace della propria coscienza e il rispetto di sé stessi. Viviamo in un periodo analogo a quello che l’Europa attraversò dopo la crisi del 1848-49. Gli anni bui furono allora 10 per l’Italia e 20 per la Francia. Questa volta la crisi è più lunga perché più generale. Noi non vedremo l’alba del nuovo giorno.Tutto compreso, quest’ultima idea mi consola non poco. In fondo l’esilio mi pare preferibile ad un ritorno in una Italia, in cui troppa gente si è resa spregevole oggi, di cui non sarebbe possibile fare a meno domani. Se il regime dura ancora altri vent’anni, tutta la nostra generazione sarà sparita e non potrà più avvelenare la vita italiana. Uomini nuovi, senza responsabilità nelle bassezze di questi 15 anni passati, senza legami con la nostra generazione, faranno – speriamo – meglio di quel che non potremmo fare noi, legati come siamo ai nostri contemporanei – troppo spregevoli e troppo vili. Ai nuovi venuti, l’esilio, liberandoci di ogni vincolo coi nostri coetanei, ci permette di dare l’esempio della dignità e della coerenza. Possiamo così conservare immacolata una tradizione di pensiero, che ridiventerà attuale o prima o poi. Se fossimo obbligati a ritornare alla vita attiva, oggi, con gli uomini d’oggi, anche quella tradizione si insudicerebbe e andrebbe perduta. Mille buoni saluti                                                                                                            Gaetano Salvemini
«Caro Salvemini, la libertà è meglio pure nella scuola»Jacksonville, 2 maggio 1943 Caro Professore, lei afferma che in Italia la scuola dovrà essere strettamente di Stato escludendo qualsiasi facoltà alle scuole private (anche Universitarie) a dare gradi e diplomi. A me sembra che l’esperienza anglo-americana ci debba portare alla più larga concessione: meglio che concessione, al riconoscimento di un diritto fondamentale, quello dell’insegnamento libero. Il monopolio di Stato si potrà convertire in arma politica che in fine ferisce lo Stato stesso, come nel caso del fascismo. Mi sembra che Lei in America sia divenuto eccessivamente ombroso dal clericalismo, quello esistente e quello inesistente, e che attribuisca ai capi della Chiesa forse più (il che sarebbe enorme per lei) di quel che attribuisce ai Tories. Scherzi a parte, non arrivo a trovare ragione in uno spirito libero e spregiudicato come Lei di un tale atteggiamento. Glielo dissi una volta, a Brooklyn, e qui glielo ripeto che il suo tardivo anticlericalismo è per me inspiegabile: badi inspiegabile dal lato del suo spirito, non dal lato del filo-fascismo di molti o parecchi (o meno di quel che noi crediamo) del clero italiano e di quelli esteri. Ma a parte ciò: la libertà è la miglior cura dei mali, e i monopoli, anche di una Repubblica italiana futura, idealizzata perché ancora è da realizzare, sono sempre cattivi e pericolosi. Ho visto sul "New Leader" che Lei afferma che D. Grandi è il candidato del Vaticano (a governare dopo Mussolini, ndr.); io credo di non errare se dico che non ci sono candidati vaticani, né ufficiali né ufficiosi; ma chiacchiere di anticamera.                                                                                                            Luigi Sturzo
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: