mercoledì 10 agosto 2011
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Buongiorno, sono Raffaele Nigro i fogli che vi sto mostrando sono la trascrizione e traduzione di alcune lettere venute alla luce durante i lavori di scavo effettuati in una cisterna dell’atrio del castello di Lagopesole. Le lettere sono state rinvenute in una cassa di ferro. Sicuramente gettata laggiù tra gabbie di uccelli e attrezzi per l’arte dell’uccellagione. Ma il ritrovamento più macabro è quello di un corpo accartocciato in un gabbione. Un corpo mummificato. Potrebbe trattarsi di un uomo di età medievale e forse dello stesso autore delle lettere. Gli studiosi sostengono che si tratti di una spia al soldo del Papa, un uomo venuto a Lagopesole sotto mentite spoglie di falconiere per spiare Federico di Svevia, la sua organizzazione militare e culturale, i segreti della sua politica e delle sue dimore, allo scopo di supportare con queste informazioni una bolla di scomunica e organizzare contemporaneamente un attacco all’imperatore. Ma la spia dev’essere stata intercettata dai soldati, prima le lettere e poi lui stesso mentre le inviava con dei piccioni viaggiatori. Man mano che partivano da Lagopesole, perché le lettere sono quasi tutte macchiate di sangue. Ve ne leggo alcune.A dì 27 marzoVostra Maestà, questa è la prima delle tortore che vi sto inviando. Ho con me i gabbioni con i falchi pellegrini e il falco grillaio, nelle altre due gabbie le tortore che uso o come prede da prova o per inviarvi messaggi e ancora due casse con quaglie e germani reali. Ne libero ogni tanto qualcuna e lancio il falcone, che puntualmente torna con la preda tra gli artigli. Dovreste vedere le facce esterrefatte. Nessuno crede ai propri occhi. Ovviamente ho dovuto sacrificare già tre tortore per rendere credibile la sceneggiata, ma io credo che il Mastrodatti si sia convinto della mia buona fede e ha promesso che mi presenta a Federico di Svevia a giorni. Il diavolo dovrebbe arrivare a Lagopesole tra pochi giorni. Io approfitto intanto, quando mi è possibile, per visitare la fortezza e capire nascondigli e segrete. Il castello può essere preso da un gruppo munito di scale dal lato nord. Per un pertugio, signore, si può tuttavia uscire oltre le mura e questo lo trovate sul lato che guarda a Potenza. Questo demonio di principe ha costruito, signor mio devotissimo, una rete di castelli tale che ogni sera può dormire con le spalle sicure e dunque se viene da Napoli eccolo nel suo palazzo di Foggia e poi di lì a Melfi e con niente è a Lagopesole e di qui a Castel del Monte da dove può scendere giù a Barletta, a Trani, e poi giù giù per i castelli di Puglia, fino a Castel del Monte, che per l’imperatore è un segno di perfezione dell’impero. Perché lui sostiene che non voi, eccellenza, ma l’imperatore sia il vero discendente di Dio sulla terra. A dì 12 aprilePadre santo, sono ormai molti giorni che vivo a Lagopesole e solo stasera l’imperatore dovrebbe giungere da Napoli. Per il suo arrivo sono stati convocati i baroni nel castello di Melfi e oggi viene qui dicono a caccia e per svago ma io credo per ragioni politiche. Come concordato con la vostra segreteria, mi sono presentato con le credenziali di maestro uccellatore al governatore di Lagopesole e gli ho detto: «Sono Gottfred Von Hutten, cittadino di Magonza, so che l’imperatore cerca un esperto di caccia col falcone, per servirvi, sono qui». Il Governatore mi ha messo subito alla prova, mi ha portato sul poggio che guarda il piccolo borgo steso nella valle e ha detto: «Vediamo se è vero quello che dici. Libera un falco e che il diavolo se lo porti». E così ho fatto. Ho aspettato che si girasse il vento, ho tirato su il sacco che imprigiona la bestia, ho fatto liberare due tortore e poi ho detto in un orecchio al mio falco Capestro una parola. Gli ho detto: Capestro, difendi l’onore del tuo padrone, l’ho sollevato di mezzo metro, gli ho fatto sentire l’aria, i profumi dell’erba e l’ho lanciato. Così che il Mastrodatti si è convinto e ha detto «Va bene, non so se faccio bene a fidarmi ma ti assumo, ha detto». A dì 13 di aprilePadre Santo e generosovoglio sperare che la tortora vi abbia recapitato la lettera che ho inviato ieri 12 ultimo scorso, perché io ho notato movimento sugli spalti quando l’uccello si è levato e un sibilo simile a una freccia scoccata. Mi sbaglierò ma ho molti timori per la mia incolumità. L’imperatore è arrivato ieri sera, con gran pompa. Soldati arabi che aprivano il corteo e tedeschi che lo chiudevano. Si porta dietro un caravanserraglio di donne. Una più bella dell’altra. Mi dicono ridendo che sono le donne delle cucine e le dame di compagnia della regina, ma se la regina non è al seguito? Dev’essere il suo harem, perché di vizi quest’uomo ne ha, padre mio onnipotente, vizi corporali e mentali. Ma altro non so dire, perché qui nessuno parla, tutti sono abbottonati e c’è una sorta di terrore a nominare l’imperatore. Come portasse in una sacca fulmini e malefici con i quali è in grado di colpire chiunque lo nomini o pensi solo a lui. Qui di seguito Santo Padre vi trascrivo i nomi delle persone più pericolose della corte, malviventi travestiti da retori e filosofi, gentaglia della quale non c’è minimamente da fidarsi e che dovreste provvedere a far uccidere immediatamente, anche prima dello stesso imperatore. Sono Andrea da Isernia, un chiacchierone che insegna diritto e il quale sostiene che non Dio ma gli uomini hanno potere di vita e di morte sui loro simili, e Pietro da Vigna, uno al quale Federico ha provato pure a rubare la moglie e il filosofo Michele Scoto, un imbroglione che ha una risposta a ogni stupidaggine, guarda il cielo e interpreta le disposizioni delle stelle, della luna rispetto al sole e alla terra e i matematici arabi, certe facce di miscredenti che usano inginocchiarsi verso oriente e pregare il loro Dio e il Profeta, senza che nessuno si scandalizzi o glielo impedisca e poi quel tale Fibonaccio che si è inventato una maniera strana di fare i conti. A dì 14 aprile alle due ore di nottePadre santoho da darvi una cattiva notizia. Questo pomeriggio appena aperta la porta trovai il pavimento insanguinato e la tortora che lanciai in cielo stamattina nel bosco del Lagopesole trafitta da una freccia e gettata sul pavimento del corridoio. Fui preso da sùbita angoscia. E l’angoscia non si è fugata. Un brutto segno, santità, vuol dire che qui hanno capito tutto. Temo che non possa più servirvi. Forse mi converrà cercare una via di fuga e sparire attraverso i boschi che danno verso la vallata di Acerenza. So di un passaggio segreto, ma è presidiato dai soldati. Io sono perduto, santità. Pregate per la mia anima. Non so quando mi sono tradito. Forse dalla prima tortora hanno colto i miei movimenti, il volo dell’uccello, forse li avranno presi tutti, sapevano, mi tenevano d’occhio. Forse non vi è giunta nessuna delle mie lettere. Perdonatemi santità, non riesco più a scrivere, la mano mi trema, mi manca il respiro. Sento dei passi cadenzati,  dal fondo del corridoio. Devono essere loro, i soldati di Federico, sicuramente sono diretti qui, vengono a prendermi, vengono per uccidermi. Lascio qui inchiostro e carta santità, debbo mettermi in salvo, se mi riesce. Provo a fuggire dalla finestra. È a strapiombo sulla valle. Mi sfracellerò, ho paura. Ho sempre avuto paura del vuoto, ho desiderato fin da piccolo volare e forse questa è stata la ragione per la quale ho addestrato falchi e rapaci, per volare insieme a loro, per galleggiare nell’aria. Addio Signore e Padre di tutti noi. Per me è finita. Raccomandate a Dio onnipotente e misericordioso la mia anima, che l’accolga e la posi nel luogo dove giacciono i padri di mio padre. Sappiano che io, Gottfred, non ho permesso mai, dico mai, che il mio e il loro nome venisse infangato da un segno di pusillanimità in questo infelice giardino della vita.
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