sabato 7 maggio 2016
COMMENTA E CONDIVIDI
Le montagne sono bellissime, il verde è davvero verde, un senso di pace anche quando i campi attorno al Cafè Waldluft, un piccolo hotel centenario, sono bagnati di pioggia e vaporano nel silenzio. Berchtesgaden è una storica località turistica ai piedi delle Alpi settentrionali salisburghesi, rinomata per questo splendido paesaggio, ma anche per il Berghof, la residenza estiva di Hitler. Tempi lontani, che si vuole dimenticare. In questo scenario idilliaco Flora Kurz da parecchi anni è proprietaria del Cafè, ma da due ha deciso di offrire le sue stanze non più ai turisti ma ai rifugiati mediorientali e africani – oggi sono trentacinque – arrivati lassù dopo aver attraversato una serie immane di pericoli e lasciato le famiglie nella tragedia. Qui possono trovare un piccolo momento di pausa dalla situazione di solitudine in cui si trovano e iniziare a costruire il proprio futuro. Cafè Waldluft è stato uno dei film più applauditi del 64° Trento Film Festival che si chiude domani sera. Matthias Koßmehl lo ha girato con amorevole cura, conscio di quanto esemplare sia la decisione presa da Mama Flora, come la chiamano i suoi ospiti. «Trovare gente giovane così buona è stata per me una sorpresa – confessa lei –, perché ti accorgi che il mondo non è del tutto perduto». Il regista tedesco è rimasto colpito dalla grande umanità di questa donna. «All’inizio aveva accettato i rifugiati per motivi economici – racconta –, perché non poteva più vivere soltanto di turismo. Poi, però, è entrata nel loro mondo, che non conosceva, confrontandosi con le loro storie e paure. Da quel momento si è occupata di quei ragazzi con tutta la sua energia e la sua dedizione». Mentre all’imbrunire suona la campana della parrocchia del paese, uno degli ospiti stende il suo tappetino e prega Allah. Berchtesgaden diventa un simbolo di pace e tolleranza. «Quel paese è il luogo della storia, del turismo e della natura. Questa combinazione di cose lo rende già molto interessante. CafèWaldluft è però ancora più speciale perché lì, su quella piccola montagnola dove si ha un bel panorama, si incrociano tutti questi piani. Ci sono da un lato i turisti, per i quali il Cafè è ancora un bel posto per riposare dopo una lunga passeggiata, dall’altro ci sono gli abitanti, per i quali Berchtesgaden è la propria “Heimat”, la patria. E poi ci sono i rifugiati che hanno lasciato la propria “Heimat” per trovarne una nuova. Tutti questi destini si incrociano in quell’hotel. Una cosa un po’ surreale». Per Matthias quel Cafè rappresenta anche il futuro. «In un tempo in cui la crisi dei rifugiati sembra sempre più drammatica e i media li rappresentano come una massa enorme senza volto, il Waldluft è un microcosmo nel quale una grande cosa funziona nel piccolo. Quando i politici parlano del grande flusso dei rifugiati e prendono le decisioni stando chiusi nelle loro stanze, che il più delle volte significa una chiusura sempre più grande dell’Europa, tutto sembra senza soluzione. Però lì a Waldluft ho trovato caratteri e persone che reagiscono in maniera molto pragmatica, trovando delle risposte concrete e possibili». Mentre anche i confini si chiudono e si vogliono ricostruire muri, come al Brennero. «L’immigrazione è diventata la domanda fatidica per l’Europa – conclude il regista –. Purtroppo ogni paese agisce da solo, decidendo senza confrontarsi con gli altri. Ma non sono soltanto i valori fondativi dell’Europa che si stanno perdendo, ciò che spaventa è anche la deriva verso i partiti xenofobi di estrema destra che usano la paura della gente per la loro propaganda». © RIPRODUZIONE RISERVATA La pellicola di Matthias Koßmehl fra le più appaludite al Trento Film Festival. Il regista racconta il felice microcosmo ai piedi delle alpi salisburghesi in cui convivono cittadini, turisti e migranti: «Una lezione per l’Europa» SPERANZA. Una scena di “Cafè Waldluft” fra i prati di Berchtesgaden
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: