sabato 20 dicembre 2014
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Si parla di corruzione e si pensa al politico ammanettato, al costruttore che paga tangenti, al magistrato che sforna avvisi di garanzia. In realtà la corruzione è qualcosa di più profondo, che coinvolge tutti noi senza che nessuno si opponga. È una questione ontologica, che riguarda il nostro essere, le azioni, il modo di pensare, di desiderare, di consumare, di vivere.A spiegarlo è Lorenzo Biagi, docente di Etica all’Istituto universitario salesiano di Venezia e segretario della Fondazione Lanza. I suoi argomenti, originali e incalzanti, sono contenuti in un piccolo libro delle Edizioni Messaggero di Padova, che si intitola appunto Corruzione (pp. 114, euro 11). La tesi è semplice quanto spiazzante: la piattaforma consumistica globale entro la quale ci muoviamo ha trasformato la corruzione in un valore essenziale alla sua stessa sopravvivenza. Insomma, per dirla con papa Francesco, siamo inseriti in un sistema che fa della corruzione una «vera cultura, con capacità dottrinale, linguaggio proprio, maniera di procedere peculiare». Qui si inserisce il ragionamento di Biagi con l’obiettivo di «capire la struttura interna della corruzione e tentare di far compiere un salto di qualità alla nostra coscienza di cristiani, alla nostra coscienza civile».La sua tesi vede nel consumismo il brodo di coltura di tutte le corruzioni.«Si può dire che in questo campo il consumismo abbia operato un capovolgimento micidiale. Per il consumismo occorre che tutto si corrompa, anche velocemente, per indurre a nuovi bisogni da soddisfare e quindi a nuovi consumi».Capovolgere è lo stesso concetto di convertire: il consumismo ci ha convertiti alla corruzione?«Un tempo il concetto di corruzione si legava all’evidenza della morte. Oggi, invece, il consumismo ha imposto che tutto sia corruttibile: cose, persone e sentimenti. Tutto si compra, si usa e si getta. L’esito è che siamo stati trascinati in un’angoscia di fondo che si deve autoalimentare di cose corruttibili rendendo noi stessi, alla fine, inconsistenti e disimpegnati. Il brodo di coltura consumista ha indotto la corruzione delle nostre convinzioni morali e spirituali, cioè del nostro stesso essere. La nostra naturale tensione all’eterno è stata "convertita" alla finitezza». Una sorta di strategia infernale.«E il primo obiettivo del mio libro è di smascherare questa strategia che ha trasformato il disvalore della corruzione in valore assoluto. Il dramma è che se tutto è degradabile non possiamo in alcun modo edificare la nostra vita. Tutto, come nella parabola evangelica, viene costruito sulla sabbia. Ciò che si deve corrompere rapidamente non fa fondamenta».Una questione antropologica. Anzi, il problema antropologico di oggi.«Siamo all’insignificanza che pretende di diventare sistema. Una deriva di inconsistenza che fa in modo di non fornirci strumenti per rispondere ad eventuali domande di senso. Noi stessi, del resto, usiamo il metro dell’insignificanza per cui ogni cosa ha il suo prezzo. Il risultato è che sappiamo il prezzo di tutto, ma non ne conosciamo più il valore».E allora?«Allora serve un capovolgimento, una metanoia. Questa oggi è la vera conversione: rimettere le cose al loro posto. Ridare a ciascuna il giusto valore. Allora potremo tornare a guardare in faccia alla corruzione, affrontarla sapendo che c’è qualcosa di incorruttibile che è la fonte del nostro autentico bisogno, desiderio di senso».E poi c’è la corruzione dei sentimenti: ciò che porta comunemente a dire che l’amore non è più eterno...«Quando il desiderio di cose corruttibili e di ciò che può essere corrotto diventa il nostro metro di misura è chiaro che si corrompono anche i nostri sentimenti spirituali e morali profondi. Sono anzi i primi a corrompersi perché anelano a quell’incorruttibilità che tutto intorno a noi ci dice che non esiste. Così la corruzione dei sentimenti diventa la grande desertificazione. Diventiamo collezionatori di relazioni, di contatti, di connessioni, ma non siamo più capaci di costruire legami. I sentimenti si comprano, si consumano, si cambiano come tutto ciò che può darci emozioni. Lo si vede nelle difficoltà delle famiglie, ma anche nella coscienza sociale».La coscienza sociale?«L’esplosione dell’individualismo rivendicativo ne è l’evidenza: a ogni bisogno deve corrispondere al più presto un diritto, ma quando è l’ora di misurarsi con i doveri (in corrispondenza ai diritti degli altri, in particolare dei più deboli) improvvisamente evaporiamo, non riusciamo a tener fede al nostro impegno di coscienza. Questo è il grande dramma civile. E non si tratta di un discorso moralistico, ma di un problema antropologico: il brodo di coltura consumista ha corrotto la nostra coscienza, ci ha reso fragili, inconsistenti, inaffidabili».Bisogna ricominciare a costruire daccapo?«Serve una grande alleanza educativa trasversale per ricostruire la nostra umanità, l’intelaiatura di quei sentimenti morali e spirituali che costituiscono la coscienza sociale e civica, che ci tengono in piedi anche quando non ci sono istituzioni che fanno da controllori. Ecco, bisogna provocare un riposizionamento dell’uomo rispetto al concetto di corruzione».Si parlava di conversione, di perdono.«Il tema della conversione oggi è più che mai essenziale. E bisogna stare attenti a non banalizzarlo. No ci si può accontentare, per fare un esempio, della moda, anche televisiva, del perdono facile, di un perdono banalizzato, anch’esso usa e getta. Il perdono cristiano nasce da tre elementi fondamentali: riconoscimento dell’errore, conversione nel modo di pensarmi nel mondo, effettiva tensione verso una vita nuova».
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