giovedì 12 marzo 2015
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Un uomo razionale e con i piedi per terra, così si sostiene, potrebbe spiegarsi la fede dei cristiani nella Risurrezione soltanto con la tesi che i discepoli delusi volevano avere ragione. Per questo avrebbero inventato, secondo la tesi avanzata nel XVIII secolo da Reimarus, una storia come quella della Risurrezione, fatta per impressionare le vecchiette, i bambini e gli assettati di miracoli di tutti i tempi. E per camuffare il loro inganno, i discepoli avrebbero rubato la salma. Questa stessa idea «fenomenale», però, l’avevano già avuta coloro che avevano consegnato Gesù a Pilato per l’esecuzione della condanna a morte (cfr Mt 27, 62ss).Altri critici del cristianesimo erano più clementi, tentando, come fece per esempio David Friedrich Strauß nel XIX secolo, di trovare una spiegazione psicologica: per loro, i discepoli non erano degli impostori, ma imprigionati in una loro visione mitologica del mondo confutata dalle moderne scienze della storia e della natura. L’impatto che la vita esemplare di Gesù e la straordinaria etica introdotta con il Discorso della montagna avrebbe avuto oltre la sua morte, era per loro spiegabile soltanto pensando a una continuazione della vita di Gesù presso Dio. Con i suoi elementi involontariamente favolosi – così affermano – la saga trasforma il morto in un modello pedagogico-religioso perfetto per bambini e gente incolta. Ma coloro che si ritengono in modo scientifico all’altezza dei tempi, ragionando in modo critico e avendo davvero compreso tutto, si sentirebbero di per sé obbligati verso l’ideale del borghese educato, che dice: «Nobile sia l’uomo, caritatevole e buono!», valevole anche senza le costruzioni e i rivestimenti della vecchia fede della Chiesa.Nell’era multimediale del XX e XXI secolo, queste «nozioni» richiedono naturalmente anche una volgarizzazione a livello di massa. A volte, in televisione, vediamo storici o giornalisti che sembrano sentirsi in dovere di gestire la loro movimentata storia personale facendo i conti con la Chiesa. E così si recano nei luoghi storici del cristianesimo per verificare, con l’aiuto dei mezzi più moderni, se è possibile che la Risurrezione abbia davvero avuto luogo. Per impressionarci a dovere, ci viene mostrato un computer dove scorrono i fogli di antichi manoscritti in lingua greca, ebraica, siriana o latina. Dopodiché i rispettivi esperti in materia si dilungano in ipotesi sull’argomento «morte apparente-risurrezione » e in speculazioni su che cosa potrebbe essere successo e perché deve essere stato diverso. E così, una trasmissione della durata di 30 minuti, sembra poter scardinare l’intera storia di duemila anni di cristianesimo o smascherare la Chiesa cattolica come un’istituzione di impostori del popolo.Naturalmente – così si sussurra a mezza voce – il Papa, i vescovi e i teologi sanno da tempo che tutto ciò è solo menzogna e inganno. Ma per la paura di perdere il potere tengono i «loro segreti» sotto chiave. E quale posto migliore che le spesse mura, avvolte nel mistero, del Vaticano?Con il processo di indottrinamento del popolo in pieno fermento, è facile perdere di vista il semplice pensiero che non è possibile confutare il messaggio inequivocabile della Chiesa primitiva con l’aiuto degli scritti neotestamentari che ne derivano. Questa pseudo-illuminazione è destinata a fallire già per la mancata padronanza del metodo storico-critico, e cioè per la violazione di tutte le leggi della scienza della storia alla quale ci si appella.La Chiesa primitiva non vuole affatto fornire la prova scientifica all’azione di Dio che risuscita Gesù dai morti, confinandola così nell’àmbito limitato dell’intelletto umano. Credibile però è la testimonianza dei discepoli, i quali affermano che Gesù si è mostrato a loro come Colui che è risorto e, con la sua morte, ha vinto la morte in assoluto. I discepoli non erano né impostori né vittime della credulità e della sete di miracoli degli uomini. Solo dopo che il Signore si è rivelato loro – così come Dio usa rivelarsi agli uomini –, lo Spirito Santo dona ai discepoli di conoscere che Gesù, che era stato con loro durante la sua esistenza terrena, è lo stesso che si mostra ora nel suo corpo trasfigurato, nella sua gloria divina.Il problema di base di tutti coloro che dubitano, non è la controargomentazione storica o scientifica. Il problema nasce con l’idea naturalistica della conoscenza: soltanto ciò che, secondo le leggi della materia nello spazio e nel tempo, è verificabile in via sperimentale, può essere vero e quindi ragionevole. Non si considera che la mente umana è aperta alla realtà. Con le nostre domande sul senso della nostra vita e sull’esistenza del cosmo, della storia e della società andiamo oltre i limiti del mondo materiale. La mente umana ha una relazione con l’origine e la meta che trascendono tutta la realtà. La ragione percepisce la realtà invisibile di Dio nelle opere della sua creazione. Il suo potere eterno, la sua divinità – dice l’apostolo all’inizio della Lettera ai Romani (cfr Rm 1,19s) – entra nel nostro orizzonte spirituale come mistero indecifrabile. Dio è Colui «che dà vita ai morti e chiama all’esistenza le cose che ancora non esistono» (Rm 4,17).Quando i sadducei cercarono di portare la speranza nella risurrezione dei morti ad absurdum con una storia più che improbabile, Gesù li mise fuori combattimento rinviando all’autorivelazione di Dio: «Io sono il Dio di Abramo e il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe? Ora, non è Dio dei morti, ma dei vivi» (Mt 22, 32). Ciò che l’uomo non potrà mai fare e pensare, per Dio è possibile. La morte consegna l’esistenza umana all’insensatezza. Dio però ci chiama all’esistenza mediante il logos, la parola del suo amore, ed è per questo che il senso dell’essere umano è anche la manifestazione della sua vita nell’amore eterno di Dio, un amore che è più forte della vita.
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