sabato 18 aprile 2020
L'ungherese Vanek da fuoriclasse del triathlon al lavoro in ambulanza per pazienti Covid: a Pasqua è diventato cattolico in una chiesa vuota
L'ungherese Ákos Vanek, ex campione di triathlon, battezzato a Budapest

L'ungherese Ákos Vanek, ex campione di triathlon, battezzato a Budapest - Reuters

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Ha fatto il giro del mondo in questi giorni la foto di un uomo vestito da operatore di ambulanza che viene battezzato in una chiesa vuota, alla presenza solo di sacerdoti e padrino. Chi è costui? Il suo nome è Ákos Vanek, ungherese, che ha stupito anche tanti suoi connazionali. Già, perché in patria lo conoscono come un grande atleta, ex campione del mondo di triathlon nel 2014. Vincitore in questa disciplina anche del bronzo nella staffetta mondiale (2014) come del bronzo agli Europei (2016). Uno sport tra i più faticosi che ne prevede tre in uno: nuoto, bici e corsa. Non c’è dubbio che Ákos, oggi 35enne, sia un “duro”. Eppure anche la sua resistenza, dopo anni di ateismo, è stata vinta: «Dio mi ha chiamato a lavorare in ambulanza e con i malati». Ha deciso quindi dopo 22 anni di sport di vincere un’altra sfida, non più solo per sé stesso, ma per gli altri. «Essere un atleta professionista – ha spiegato in un’intervista su YouTube ungherese – richiede una determinazione e un impegno speciale. Lo sport mi ha insegnato perseveranza, umiltà e rispetto».

A novembre è salito come volontario su un’ambulanza e oggi trasporta i pazienti colpiti dal coronavirus. Alla fede è arrivato da adulto, sebbene i suoi nonni fossero persone religiose mentre i suoi genitori erano dediti solo allo sport: «Sono stati alcuni amici a farmi scoprire e apprezzare il cattolicesimo. E poi vorrei diventare padrino di mio nipote per questo ho iniziato il catechismo». A Pasqua era previsto il suo battesimo, sul punto di saltare per la chiusura delle chiese. Ma i francescani di Pasaret a Budapest hanno ottenuto il permesso per farlo alla presenza di pochi frati. «Un mio amico pastore protestante ha preso il mio turno di notte in ambulanza per potermi battezzare». E ha rivelato che molti suoi colleghi pregano durante il lavoro e che gli stessi malati vedendoli ne sono molto grati. Non c’è spazio per alcun timore: «Dio non mi ha messo qui per morire, ma per aiutare gli altri. Cerco di prendermi cura di me il più possibile – ribadisce Ákos – ma non puoi fare questo lavoro se hai paura. Se mi succede qualcosa, mi preoccuperò».

Una consapevolezza rafforzata dal dono ricevuto nella Veglia pasquale: «Il battesimo è stato un evento speciale: solo in chiesa, nell’oscurità ho visto arrivare i sacerdoti con le candele in mano. Non c’era nessun altro. Mi sono sentito un eletto. Un onore essere lì». Ha allora ripensato alle sue medaglie realizzando che qualcosa di più grande ha ricevuto. Che quell’acqua apre una strada senza fine, la vita eterna. Una meta che ti spinge a salvare gli altri senza nessun timore perché per il cristiano il contrario dell’amore non è l’odio ma la paura. «Torno a casa dopo il lavoro con un’energia in più. In quel momento mi accorgo di far parte di qualcosa di buono nella vita».

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