lunedì 23 dicembre 2013
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Sulla tomba non c’erano fiori. Nemmeno uno. L’aveva chiesto lui. «Non ne voglio, sarebbero strappati alla foresta». Pioveva a Xapuri, remoto villaggio dell’Acre, il 25 dicembre di venticinque anni fa. «Pioveva forte», racconta ad Avvenire padre Luigi Ceppi, missionario italiano da 35 anni in Brasile, di cui 30 in Amazzonia. «Era il pianto degli angeli», avrebbe scritto anni dopo la band messicana Maná in una delle sue più famose canzoni. Sotto il diluvio, quel giorno è stato padre Luigi a celebrare il funerale dell’amico Chico Mendes. «Compagno di strada, direi». Una strada stretta, tortuosa, scavata fra gli arbusti a «passo di machete». Un sentiero della foresta. Come quelli dove i due passeggiavano spesso. «Non molto tempo prima, mentre camminavamo nella zona di Cachoeira, Chico si era fermato e mi aveva chiesto: “Padre, da morto non potrò più vedere i miei figli?”. Ricordo di avergli risposto: “Al contrario: allora potrai guardarli sempre e non solo quando li avrai vicino”». Mendes aveva appena compiuto 44 anni. Una settimana dopo, il 22 dicembre 1988, un proiettile esploso da due latifondisti – che più volte l’avevano pubblicamente minacciato – avrebbe fermato il suo cuore. Ma non la sua lotta. Quanto mai attuale. O Chico – come lo chiamano i brasiliani – non combatteva per un’ideologia né per un ambientalismo astratto. La sua non era una protesta «per la terra, ma per gli alberi. Non per la proprietà ma per l’uso», spiega Miriam Giovanzana nel libro Fermo come un albero, libero come un uomo, pubblicato da Terre di Mezzo. «Si batteva per la sopravvivenza dei popoli della foresta – precisa padre Ceppi –. Perché uomini e piante potessero convivere insieme». Da qui la lotta, pacifica e incessante,  per fermare il disboscamento selvaggio. Con gli alberi (sacrificati per far posto ai pascoli e alle megacoltivazioni di soia) venivano sterminati anche gli abitanti dell’Amazzonia. Indios e seringueiros, cioè i raccoglitori di lattice dalla pianta della gomma, l’Hevea brasiliensis. Di questi ultimi, Mendes era rappresentante sindacale. Un leader carismatico e innovatore. Decenni prima che il riscaldamento globale diventasse tra le priorità dell’agenda scientifica internazionale, questo seringueiro alfabetizzato per caso da un militante in fuga dai generali – in Brasile era l’epoca della dittatura – aveva intuito il legame inscindibile tra terra e uomini. Qualunque sviluppo cerchi di spezzarlo in nome del progresso si trasforma in un’arma di distruzione di massa. Chico dunque non sognava un’Amazzonia-santuario, proprio come aborriva l’idea di un’Amazzonia-merce. «Gli uomini stessi e le famiglie dovevano diventare i custodi e i garanti della foresta», afferma ancora Giovenzana, e allo Stato spettava il «riconoscere e remunerare questo lavoro di sorveglianza» in modo da frenare l’emorragia umana verso le favelas urbane. In questa prospettiva, si inserisce anche la scelta della non violenza. «Diceva che una vittoria ottenuta senza il dialogo con la controparte presuppone sopraffazione», conclude padre Ceppi. Forse proprio per questa originalità di prospettiva il suo assassinio ha fatto scalpore. Tanto da finire sulla prima pagina del New York Times. E, ora, per celebrare il venticinquesimo anniversario, lunedì, il governo di Brasilia ha omaggiato il «profeta di uno sviluppo alternativo», con il titolo di «protettore dell’ambiente». Eppure, al di là delle celebrazioni, il «Brasile del miracolo» non è ancora riuscito a risolvere il nodo dello sviluppo amazzonico. Nel Paese, il pugno di ferro dei gerarchi ha ceduto il posto a una democrazia stabile – governata proprio da quel Partido dos Trabalhadores che Mendes aveva contribuito a fondare –, ruggente e meno diseguale. Eppure la fame di soia (le cui vendite sul remunerativo mercato internazionale alimentano il boom) continua a divorare l’Amazzonia: nell’ultimo anno sono scomparsi quasi seimila chilometri di foresta. Che cosa resta dunque di Chico? Un milione di ettari di Amazzonia salvati. E un sogno. Quello «di un modello di sviluppo ecosostenibile, alternativo agli squilibri tra Nord e Sud del mondo», scrive Gad Lerner nell’e-book Chico Mendes pubblicato da Feltrinelli. Per questo, il leader seringueiro è un vinto «le cui idee si sono ramificate ben oltre la foresta in cui germogliarono».
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