martedì 18 ottobre 2016
​L'interista ha scatenato il caos con la sua biografia in cui "minaccia" gli ultrà nerazzurri.
Icardi, l'ultimo degli spaccacurve
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C’è stato un tempo, era il secolo scorso ma nemmeno troppo tempo fa (anni ’70-’80 e anche un pezzo di ’90, prima dell’era pay-tv), in cui il calciatore era una figurina, un santino famigliare, un amico ideale; nel migliore dei casi un piccolo eroe esemplare, e non una macchina da guerra e da soldi, come il prototipo dell’odierno bomber vincente: l’interista Maurito Icardi. In quel tempo, a questo punto, formidabili quegli anni, del nostro idolo in campo si sapeva poco o niente. Una canzoncina che canticchiavamo andando a scuola ci ricordava che «Antognoni è l’amico di Zoff» tutto lì. Zoff, Dino, era (è) quel signore alto, con la faccia scolpita nella roccia carsica che parlava poco e sempre sottovoce, pronunciando frasi buone e semplici, tipiche del buon padre di famiglia.  Zoff è diventato campione del mondo a 40 anni e quella notte della finale Mundial di Spagna ’82 festeggiò con un bicchiere di spumante brindando in camera assieme al fraterno Gaetano Scirea, con il quale guardandosi negli occhi si lasciò sfuggire - sottovoce - : «Cosa abbiamo fatto?». Avevano compiuto un’impresa degna di cento biografie, ma Zoff e Scirea erano dei campioni veri. Uomini verticali, poche parole, tanti fatti. La stessa pasta del capitano che possedeva Giacinto Facchetti. Quella fascia che ha portato, con gloria ed onore Giacinto “Magno”, era e rimane - nonostante tutto il caos creato (se l’è cavata con una multa) sul braccio di Icardi, il bomber argentino, il principino del gossip e ora sciocco agitatore di popolo. Uno dei tanti ragazzini del pallone cresciuti in fretta nel talentificio in batteria dominato dai procuratori. Pseudofenomeni programmati per accumulare, in fretta, fama e denaro, ridando indietro alla società (oltre a quella di appartenenza) il vuoto pneumatico di una palla di cuoio bucata. Adolescenti a vita venuti da lontano per dividere e non Nati per lasciar perdere, come scrive il poeta metropolitano Chinaski ( Vincenzo Costantino), il quale a uno che a 23 anni decide di mandare alle stampe la sua biografia gli risponderebbe, meglio di tutti, per le rime. Davanti alla pagina intimidatoria e incriminata della sua autobiografia Sempre avanti (Sperling & Kupfer) il bimbo cattivo Maurito - o chi per lui - con lo stile di un’ultrà che minaccia i suoi simili («porto cento criminali dall’Argentina che li ammazzano lì sul posto, poi vediamo») scrive una pagina di calcio marcio. E la zuffa da branco che ne scaturisce non può essere sedata dall’arbitro, ma deve intervenire la Digos. Ieri miniblitz della polizia nel lussuoso palazzo in cui risiede Icardi che abita nell’attico con piscina vista San Siro (mica il Duomo o Brera) con la sua “selfie made woman” Wanda Nara: la donna “strappata” all’ex amico Maxi Lopez. La madre di due dei loro cinque figli, la cui incolumità è stata messa in serio pericolo per una ragazzata che non ha tenuto conto del-l’effetto che fa la rabbia cieca degli ultrà. Nel fortino in cui l’attaccante Maurito si è arroccato, una volta di più si capisce perché questo nostro calcio italiano è sempre più triste e solitario. Il Codacons entra a gamba tesa sulla vicenda e chiede l’intervento della Procura della Repubblica e della Figc in merito alle frasi oltraggiose pubblicate dall’argentino nel suo libro. Ma lo stesso Codacons invita i tifosi dell’Inter «a reagire gettando in campo fiori, simbolo di pace e di gioia». Per la tregua si rende necessaria una seconda edizione della biografia icardiana, edulcorata e presentabile almeno per il prossimo Bancarella Sport. Ma comunque vada a finire questa storia, sarà un insuccesso per l’ultimo degli spaccacurve. Al cospetto delle ingenue (ma forse non involontarie) follie verbali di Maurito quasi scompaiono le pistolettate ai lampioni e il ditino provocatorio del bomber laziale Giorgio Chinaglia rivolto nel derby ai tifosi romanisti, che poi andavano a cercarlo sotto casa. Erano i plumbei ’70 e quindici anni dopo il reuccio del Quarticciolo, Paolo Di Canio imitò il suo maestro “Long John”. Stesso ditino molesto sotto la stessa Curva (la Sud dell’Olimpico), per poi trascorrere grigi pomeriggi da cane, vissuti sotto scorta. Di Canio in Inghilterra poi si era convertito a “uomo fairplay” (quando giocava al West Ham rinunciò a segnare un gol con il portiere dell’Everton a terra, infortunato) salvo poi rientrare in patria (alla Lazio) e sfoggiare un plateale saluto fascista seguito da slogan, da apologia di regime, del calibro: «Ci sono due modi per tornare da una battaglia: con la testa del nemico o senza la propria». Frasi di ordinaria follia e gesti politicamente scorretti, come quel pugno chiuso del “compagno” Paolo Sollier (poi emulato dai pasionari rossi Cristiano Lucarelli e Riccardo Zampagna) che diventò il nemico giurato delle Curve di destra, i quali odiavano e bruciavano il suo libretto maoista Calci sputi e colpi di testa. Il popolo dell’Inter prima di Icardi non ha perdonato il “traditore” Mario Balotelli che “sputò sul piatto”: in preda a una delle sue crisi nevroromantiche gettò a terra la maglia nerazzurra, dichiarando apertamente la sua fede milanista. Minacce pesantissime lo costrinsero all’esilio dorato di Manchester (sponda City) dove continuò ad essere il bersaglio mobile dei nipotini degli hooligans.  Tra gli spaccacurve si annoverano anche gli allenatori. Zdenek Zeman che passa da una sponda all’altra del Tevere - dalla Lazio alla Roma - e poi si erge a paladino - unico e inconsapevole - dell’antidoping nel calcio tirando in ballo la Juventus che da allora glie l’ha giurata. E chi non ricorda quel derby incendiario di Brescia? La fuga (braccata, ma incontenibile) di Carletto Mazzone che al gol del pareggio bresciano va a sfidare gli ultrà dell’Atalanta per difendere la memoria della «povera mamma che hanno insultato per tutta la partita». Scene di un piccolo mondo antico che non cambia mai e che ormai possiede rari “pensatori con i piedi” dal pensiero forte. Come Jorge Valdano, (argentino come Maurito, un campione del mondo come Zoff) che ci aveva messi in guardia molto prima del caso Icardi: «Le cose stanno così: il calcio è progredito come il traffico - scrive Valdano - . Prima circolare era facile, adesso è diventato un inferno. La realtà è che il campo, a pelo d’erba, sta diventando intransitabile».
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