venerdì 10 marzo 2017
Gianfelice Facchetti porta in teatro l'impresa dei Vigili del Fuoco di La Spezia. Nel 1944 battendo il Grande Torino vinsero il torneo dell'Alta Italia, un tricolore mai inserito nell'almanacco
La mitica formazione dei Vigili del Fuoco della Spezia

La mitica formazione dei Vigili del Fuoco della Spezia

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Lo spettacolo teatrale "Eravamo quasi in cielo" sull’impresa dei Vigili del Fuoco della Spezia è quasi pronto. Ultime prove per il regista e attore Gianfelice Facchetti (nella foto) che in scena sarà accompagnato dalle musiche eseguite dal vivo dai jazzisti dell’Ottavo Richter. Facchetti è anche autore del testo Eravamo quasi in cielo assieme allo scrittore Marco Ciriello, a sua volta autore di un interessante libro sul calcio Il più maldestro dei tiri (Ad est dell’equatore) e l’ultimo romanzo Assassinio sulla Palmiro Togliatti( Baldini&Castoldi). La pièce debutterà il 10 maggio e resterà fino al 21 maggio a Milano, allo Spazio Tertulliano. Il 28 maggio al Teatro Verdi di Busseto, data simbolica perché ricorda la prima partita ufficiale dei Vigili del Fuoco della Spezia nella stagione 1943-’44 contro la locale compagine emiliana. Il tour autunnale proseguirà, con tappa obbligatoria alla Spezia.



«Rispettiamo solo i pompieri», cantano provocatoriamente i tifosi negli stadi. E noi condividiamo. Dalle macerie delle Torri Gemelle di New York fino agli “angeli” della tragica frana di Rigopiano e del Centro Italia terremotato, sono loro, i Vigili del Fuoco, gli eroi silenziosi di questo tempo assurdo e rumoroso.

Silenzio in sala, si prova. «Nel terrore dei crolli, nel furore delle acque, nell’inferno dei roghi. Ecco dove siamo nati e di che pasta siamo fatti...». Comincia così Eravamo quasi in cielo, il racconto teatrale di Gianfelice Facchetti che interpreta la voce narrante, Ottavio Barbieri. Il «Mister», l’allievo del maestro e pioniere inglese del Genoa, William Garbutt, che guidò la cavalcata dei ragazzi appartenenti al 42° Corpo dei Vigili del Fuoco della Spezia.

I campioni d’Italia, mai riconosciuti, della stagione calcistica 1943-1944. L’anno dell’interruzione bellica dei campionati ufficiali, quello che, dribblando bombe, imprevisti e sbarramenti di ogni sorta, si disputò «in un’Italia spezzata in due: a Nord partigiani tedeschi e Repubblica di Salò, a Sud gli alleati», declama Facchetti. L’8 settembre del 1943, mentre veniva annunciato l’Armistizio, sui nostri campi di calcio vi fu la riabilitazione delle società sportive soppresse e degli atleti banditi dal regime fascista. «Ma gli odiati “inglesismi” restavano un tabù. Così il Milan rimase Milano e l’Internazionale Ambrosiana, fino alla fine della guerra». Nell’impasse di un’Italia che attendeva trepidante la liberazione dal nazifascismo «qualcosa si farà!», annunciava fiducioso l’allora presidente della Federcalcio Giovanni Mauro.

E qualcosa infatti accadde. Via al campionato misto dell’Alta Italia composto da squadre di Serie A, B e C. Compagini che, «finché fu possibile », si sfidarono in trasferte che andavano dal Friuli al Lazio. «Il pallone italico non venne stoppato e lo stesso accadde anche in Belgio, Francia, Germania, Austria, Ungheria e Irlanda », informa dal palco Facchetti. Il grande Peppino Meazza andò a fare l’allenatore-giocatore al Varese, il bomber Silvio Piola ottenne il nullaosta della Lazio per giocare nel Torino. Al calciomercato più irregolare che si ricordi rispondevano da par loro gli sponsor: il Toro si legava alla Fiat, la casa madre della Juventus che ripiegò sul mecenatismo di Cisitalia. «La Triestina veniva sostenuta finanziariamente dall’Ampelea, azienda di sgombri e sardine», recita Facchetti. In mezzo a questo scenario marino e quasi surreale, con lampi di grande gioco sui prati, e in cielo durante gli attacchi aerei, lo spettacolo più unico che raro fu quello della formazione spezzina dei Vigili del Fuoco.

Un’invenzione del dirigente Giacomo Semorile che si rimise agli ordini dell’ingegner Luigi Gandino, il capo di quelli che fino a poco prima erano i «civici pompieri», della Spezia. Ma il “francesismo” venne cassato dal Duce che ordinò l’istituzione del corpo dei Vigili del Fuoco. E il loro pullman per le trasferte, il per niente comodo ma affascinante - l’autobotte “Fiat 621 L” - da rosso fiammante dopo il 1939 venne riverniciato nel più “decoroso” grigioverde militare. Imposizioni dittatoriali che non fiaccarono lo spirito tenace di quel gruppo di temerari della Spezia: la città più bombardata, assieme a Rimini, della Seconda guerra mondiale. Lo stato di emergenza ebbe una sua ricaduta sul reclutamento dei «pompieri volontari» da prestare al pallone, su precisa delibera del ministero del- l’Interno. Così nella città ligure arrivò la meglio gioventù classe 1919-1920: i vari Gramaglia dal Napoli, Angelini e Tori dal Livorno, Viani II e Tavoletti dal Genoa, Medica dal Liguria. La truppa dei locali era capitanata dal mediano Marietto Tommaseo, che anni fa (è scomparso nel 2006) ad Avvenire ricordava: «Mi vennero a riprendere a Palermo. Il calcio nel 1943 non dava da vivere, mentre i Vigili della Spezia ci garantivano un posto di lavoro: ottantamila lire di stipendio mensile e la possibilità di allenarci e giocare regolarmente. Il che in tempi di guerra era un lusso». Un privilegio era anche quella tessera di appartenenti alla «forza pubblica» che garantiva ai Vigili spezzini la libera circolazione per l’Italia “dimezzata”. «Tessera negata all’ultimo momento a Riccardo Incerti, un portierino di belle speranze, un diciannovenne che aveva cominciato quell’avventura calcistica con i Vigili del Fuoco quando lo chiamarono alle armi: Car a Viterbo – recita accorato Facchetti sulle note de Il disertore di Boris Vian –. Ma dopo due mesi Riccardo disertò e raggiunse il fratello Walter, calciatore pure lui – indica la figurina che li ritrae insieme – per entrare a far parte della Brigata Garibaldi».

Lassù sull’Appenino emiliano, imbracciati i fucili, Walter divenne il partigiano “Vince”, Riccardo prese il nome di battaglia di “Toni”, «da “Tognacca”, il pagliaccio del circo, così come amava chiamarlo la madre». Ma questa è un’altra vicenda, all’interno della storia degli undici “incendiari” spezzini che guidati da Barbieri spensero sul nascere tutte le pire degli avversari di turno. «Mentre il generale americano Mark W. Clark si arrovellava per entrare a Roma e liberarla, io facevo uguale ma per arrivare a Milano e vincere il campionato più assurdo della storia del nostro calcio», recita Facchetti nei panni del mister dei Vigili del Fuoco. Bomba o non bomba, arrivarono all’Arena di Milano per giocarsi lo scudetto contro l’ostico Venezia, ma soprattutto contro il Grande Torino dell’immenso Valentino Mazzola. La stella più luminosa del calcio mondiale, la mente pensante di quel Torino “reale” che oggi gli spagnoli definirebbero “galattico”. Il 16 luglio del 1944, giorno della sfida, il tenente degli alpini Vittorio Pozzo (il ct dell’Italia campione del mondo del 1934 e del 1938, in mezzo oro olimpico a Berlino 1936, l’unico conquistato dal calcio azzurro) entrò con il solito fare distinto nello spogliatoio dei Vigili della Spezia e disse: «Oggi non sarebbe un insulto per voi perdere contro il Torino con tre-quattro gol di scarto...».

Si racconta che Wando Persia (il primo “libero” del nostro calcio) quando Pozzo uscì dallo spogliatoio, dalla rabbia diede un cazzotto sulla porta che a momenti la tirava giù. «Fu un grosso errore da parte di Pozzo, perché quelle frasi su di noi ebbero un effetto davvero infiammante », ricordava Tommaseo che quella partita la giocò fino all’ultimo minuto con il dito rotto del piede. Undici uomini pronti a tutto, come Renato Tori che per scappare dai bombardamenti – a Brescia – si era bruciato i piedi, ma aveva continuato a giocare come se nulla fosse, ed era arrivato fino a quella incredibile sfida-scudetto. Una sfida sorprendentemente vinta (2-1). Un’impresa portata a buon fine tra lo stupore dei tifosi e della stampa sportiva dell’epoca (tutta pro-Torino, a cominciare dal Guerin Sportivo e dalla penna parziale di Carlin Bergoglio), grazie alla doppietta di Angelini, ma soprattutto alla marcatura asfissiante di Tommaseo che anestetizzò il genio di Mazzola. «Barbieri mi disse: segui Valentino anche dovesse andare al gabinetto, non dargli tregua. E così feci. A fine partita provai un misto di felicità e uno strano senso di colpa, mi avvicinai a Valentino e gli chiesi scusa. Mazzola mi fissò sorpreso e mi rispose: “Scusa di cosa? Contro di te oggi non ho capito niente”. Sorrise e mi abbracciò. Non ho mai dimenticato quell’abbraccio... Come non scordo il dolore che provai quel 4 maggio del 1949, il giorno dello schianto aereo di Superga. Pensare che non avrei più rivisto giocare Valentino Mazzola e quei campioni del Torino fu un po’ come se fossi morto anch’io. Perché fu solo grazie a quella marcatura impeccabile che si era compiuto il capolavoro di tutta la mia vita». Il capolavoro di Marietto che a trent’anni, appesi gli scarpini al chiodo, sarebbe passato dai campi ai palcoscenici come cantante lirico. Dopo una vita da mediano, la seconda fu da «baritono, specia-lità: tutto il repertorio verdiano». E nella terza pittore. Paolo Rostagno (prima storica “ala tornante”) rimase vigile del fuoco fino alla pensione. Gli eroi del ’44 si ritrovarono spesso per discutere dell’ingiustizia subita per mano della Federazione che non omologò mai quello scudetto sacrosanto («limitandosi a concedere una coccarda con una “coppetta” cucita sul petto») e per commemorare i due eroi caduti nella Resistenza, Walter e Riccardo Incerti. «Una parte di merito per quell’impresa spettava anche a loro». Onore ai Vigili del Fuoco, campioni in ogni campo, perché da sempre “squadra” che in coro canta il suo inno: «Quando le fiamme avanzano non abbiam timore, abbiamo Santa Barbara dentro il nostro cuore. Il pompiere paura non ne ha».

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