venerdì 1 aprile 2016
COMMENTA E CONDIVIDI
«La mia vita qui è una prigione. Il lavoro è duro, lavoriamo per molte ore sotto il sole cocente. La prima volta che mi sono lamentato il direttore dei lavori mi ha detto che potevo anche protestare ma poi ci sarebbero state conseguenze. Se vuoi rimanere in Qatar, devi stare zitto e lavorare ». Sarà anche il gioco più bello del mondo, ma per guardarlo, viverlo, gioirne, qualcun altro è chiamato a rinunciare ai suoi diritti. Il nepalese Deepak è solo uno delle migliaia di lavoratori per i quali quel sogno che noi chiamiamo calcio è diventato un incubo. È arrivato a Doha per lavorare alla costruzione degli stadi che ospiteranno i Mondiali di calcio del 2022, assegnati dalla Fifa al Qatar tra mille po- lemiche. Oggi Deepak è costretto come i suoi colleghi a subire condizioni che Amnesty International, in un nuovo rapporto, definisce in alcuni casi «lavori forzati». Lo studio si basa su interviste a 132 migranti impegnati nella ristrutturazione dello stadio Khalifa, che dovrebbe essere il primo pronto per i Mondiali e che ospiterà una delle due semifinali. Altri 99 migranti intervistati erano impegnati nella manutenzione degli spazi verdi intorno al complesso sportivo Aspire, dove lo scorso inverno si sono allenati Bayern di Monaco, Everton e Paris Saint-Germain. I lavoratori hanno riferito di numerose forme di sfruttamento: si va dalla confisca del passaporto ad opera del datore di lavoro alle minacce dopo aver protestato per le condizioni di lavoro, dal mancato pagamento dei salari per diversi mesi al versamento di ingenti somme di denaro (da 500 a 4300 dollari) ai reclutatori in patria per trovare un lavoro in Qatar. E ancora, alloggi squallidi e sovraffollati e orari di lavoro sempre più dilatati. È il lato oscuro del pallone, che arriverà a offuscare, da qui a due anni, la vita di oltre 36mila migranti, nella maggior parte dei casi provenienti da Bangladesh, India e Nepal. «Lo sfruttamento del lavoro migrante è una macchia sulla coscienza del calcio mondiale. Per giocatori e tifosi, uno stadio dei Mondiali è un luogo da sogno. Per alcuni lavoratori, è come vivere dentro a un incubo», sottolinea Salil Shetty, segretario generale di Amnesty International. Choccante, secondo l’organizzazione, l’indifferenza della Fifa «nonostante cinque anni di promesse». Amnesty International ha scoperto che lo staff di una delle agenzie di reclutamento ha minacciato rappresaglie nei confronti dei lavoratori migranti, come il blocco dei salario, la denuncia alla polizia e il rifiuto di consentire di lasciare il Qatar. Condizioni che, secondo il diritto internazionale, equivarrebbero al lavoro forzato. «Indebitati, costretti a vivere in squallidi campi in mezzo al deserto, sottopagati: il destino dei lavoratori migranti contrasta profondamente con quello delle star del calcio che giocheranno nello stadio Khalifa – continua Shetty –. Tutto ciò che i lavoratori migranti vogliono si chiama diritti umani: essere pagati in tempo, lasciare il Paese se ne hanno bisogno, essere trattati con dignità e rispetto». Mentre il governo del Qatar si mostra apatico e la Fifa indifferente, sarà «quasi impossibile organizzare i Mondiali senza lo sfruttamento del lavoro migrante ». Per questo Amnesty spera che i principali sponsor – tra cui Adidas, Coca-Cola e McDonald’s – si facciano carico della questione. C’è ancora tempo perché il calcio cancelli una vergogna Mondiale. © RIPRODUZIONE RISERVATA Amnesty International denuncia le condizioni disumane di 36mila lavoratori impegnati nei cantieri calcistici dello stato arabo «Impossibile organizzare i Mondiali senza lo sfruttamento dei migrantii» Uno stadio di calcio del Qatar
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: