mercoledì 28 marzo 2018
L’analista britannico, conteso da Nato, Cia, Congresso Usa e Ue per le sue strategie: «Gli americani pensano di dominare il mondo, ma per sopravvivere bisogna lasciarsi alle spalle il passato»
L'oracolo Hulsman: «Così anticipo la storia»
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John Hulsman è una fattucchiera del rischio politico, una modernissima Pizia in grado di predire il futuro del mondo nel quale viviamo. Come i condottieri ateniesi si addentravano nella caverna del santuario di Delfi per sapere dalla sacerdotessa come sarebbe andata la prossima battaglia così Nato, Parlamento europeo, Cia e Congresso americano chiamano questo brillante analista per capire se la Russia oggi minaccia davvero l’Occidente e la Brexit mette in pericolo l’esistenza dell’Unione Europea. Il responsabile di “John C. Hulsman Enterprises” risponde seguendo dieci regole, ispirate proprio dalle massime scritte sui muri dell’anfratto della Pizia, che ha deciso di raccogliere nel suo ultimo volume. To dare more boldly. The audacious story of political risk, ovvero “Osare con più coraggio. La storia audace del rischio politico”, appena pubblicato dalla Princeton University Press, è un viaggio dentro i nodi chiave della geopolitica del nostro tempo riletti alla luce della storia. Si parte con la fine dell’impero romano che ci aiuta a capire la bomba demografica e la decadenza che minacciano oggi l’Europa, attraverso gli eroi della Terza Crociata che spiegano il Daesh, Machiavelli collegato alla fine di Washington come centro geopolitico del mondo per arrivare ai Beatles e a perché si sono sciolti nel giro di dieci anni mentre i Rolling Stones sono ancora vivi e vegeti. Ogni capitolo contiene una massima, “Allontanare i pazzi”, “La sindrome del giocatore di azzardo perdente”, “Conoscere la natura del mondo nel quale viviamo” e personaggi storici che illuminano i problemi geopolitici contemporanei.

Lei dice nel suo libro che «la geopolitica è l’arte di capire le forze in gioco abbastanza bene da poter anticipare in che direzione ci stiamo muovendo». Qual è questa direzione?

«Sono il membro più giovane del “Council on Foreign Relations”, il centro studi che fa consulenza al governo degli Stati Uniti, e noto come gli altri partecipanti, tutti americani, pensino ancora di dominare il mondo. Per sopravvivere gli Stati Uniti devono lasciarsi alle spalle questa mentalità. Capire che non siamo più nel bipolarismo della guerra fredda ma in un nuovo gioco di relazioni internazionali dove altri attori sono importanti, Cina, India e Messico, Sud Africa e Indonesia, Brasile e Argentina. Nel mio libro c’è un capitolo su Lord Salisbury, il primo ministro che convinse la classe dirigente dell’impero britannico a mettersi da parte, e un altro sui Genro, gli oligarchi di metà ottocento che trasformarono il Giappone da decadente società feudale in potenza economica asiatica avanzatissima. Per sopravvivere bisogna lasciarsi alle spalle il passato. È una delle mie dieci regole».

Un capitolo paragona gli Stati Uniti di oggi all’impero britannico di fine ottocento.

«Siamo ancora il primo paese nel mondo proprio come lo era il Regno Unito all’epoca. E il dollaro è la moneta più importante come la City era il centro finanziario di quel periodo. A Londra abitava Dickens, lo scrittore più letto, mentre noi abbiamo Hollywood, il nostro secondo più importante prodotto di esportazione. Come la Gran Bretagna di allora anche gli Stati Uniti, oggi, vogliono continuare a controllare Europa e Asia».

E come possono farlo?

«Lo scorso novembre, su iniziativa dei giapponesi, si è formato il “Quad”, la coalizione di Stati Uniti, Giappone, Australia e India per resistere l’espansione cinese nei mari tra l’Oceano Indiano e il Pacifico. Perché non coinvolgere l’Europa per una condivisione di risorse militari e servizi segreti? Così si può ridare vita all’Occidente e resistere l’espansione cinese allargando l’alleanza Stati Uniti e Europa al resto del mondo».

Quale area del mondo la preoccupa di più?

«La Cina che è la seconda potenza militare del pianeta, guidata da Xi Jinping, quasi un dittatore. Nel Mar cinese meridionale, un punto strategico per il commercio mondia-le, la Cina ha costruito importanti strutture militari ignorando gli avvertimenti degli Stati Uniti e provocando Vietnam e Giappone. È un po’ come alla vigilia della prima guerra mondiale. I più importanti attori, il primo ministro giapponese Shinzo Abe, quello cinese Xi Jinping e l’indiano Narendra Modi, per non parlare del presidente americano Donald Trump, sono tutti convinti nazionalisti».

La sua ditta è molto famosa per i “giochi di guerra” nei quali ha coinvolto in passato il presidente degli Stati Uniti, il Congresso americano e il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Come funzionano?

«Simuliamo la realtà di una situazione di crisi o di un’area geografica dove ci sono tensioni scrivendo un copione per ciascuno degli attori coinvolti. I nostri clienti si siedono attorno a dei tavoli che corrispondono a stati e istituzioni. Ieri sera abbiamo analizzato la situazione in Siria con un ruolo per Russia, Arabia Saudita e Iran. Ho dato a ciascuno dei partecipanti testi che contenevano informazioni come, per esempio, il prodotto interno lordo. Ho fatto un’introduzione su quello che sta succedendo e poi, sulla base di questo, ho posto, alle persone nei vari tavoli domande molto semplici di tipo binario. Ho chiesto alle persone che rappresentavano l’Iran, “Che cosa vi importa di più? Mantenere la vostra sfera d’ influenza o minacciare Israele?”. Ognuno aveva risposte diverse e i partecipanti si sono scontrati, come capita nella vita, generando nuove situazioni. Avevamo cominciato parlando di come la Russia e l’Iran proteggono i loro interessi in Siria e abbiamo terminato con nuove alleanze formate nel Medio Oriente, con Russia, Iran e Turchia alleati contro Stati Uniti, Israele e Arabia Saudita. Le aziende amano questi giochi perché mettono in luce i rischi delle varie situazioni che esaminiamo».

Una delle regole che lei segue nel suo lavoro e illustra nel libro è «Fuori i pazzi». Può spiegarci come funziona?

«Ci chiediamo se Kim Jong-un è un pazzo e rispondiamo di no. Se non lo è il deterrente nucleare funzionerà. Se gli Stati Uniti seguiranno questa strada vi sarà una soluzione al problema dell’instabilità in Asia».

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