lunedì 19 maggio 2014
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È una guerra alla memoria. Silenziosa e infida, ma è pur sempre una guerra. Dell’ignoranza contro la memoria. E del businnes sull’arte contro le radici dei popoli del Medio Oriente. Per avere contrastato questa minaccia l’archeologa Monica Hanna, giovane e plurigraduata studiosa egiziana, è stata premiata con il Safe Beacon Award a New York, il riconoscimento più prestigioso per chi si è impegnato a salvare con azioni concrete il patrimonio archeologico mondiale, rischiando anche la vita. Così Hanna ha fatto per ben due volte, a Minya e al Cairo, nell’estate del 2013 e poi nel gennaio 2014, salvando quel che rimaneva (rispettivamente nel Museo Malawi e nel Museo di Arte Islamica) dalla furia di vandali fondamentalisti. Ma il suo impegno inizia molti anni fa, nonostante sia salito agli onori delle cronache soltanto oggi, con ospitate televisive, la copertina di Egypt Today con le 7 persone più influenti nel 2013 e la candidatura a Donna araba. «L’uso dei social media e la nascita della community Egypt’s heritage task force ha contribuito a sensibilizzare chi utilizza le piattaforme web sull’argomento», dice. E spiega, in occasione dei 60 anni dall’adozione della Convenzione dell’Aja sulla Protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato, che si celebra il 14 maggio: «Questa task force è composta da docenti universitari volontari e da professionisti che lavorano come archeologi. Il nostro obiettivo è documentare tutte le perdite del patrimonio artistico d’Egitto nel quadro dei recenti avvenimenti politici. Lavoriamo principalmente sulla sensibilizzazione del pubblico egiziano, affinché il governo venga costretto ad adottare strategie precise riguardo la tutela del patrimonio. Abbiamo lanciato l’allarme alle forze di sicurezza in situazioni di emergenza e documentiamo saccheggi e violazioni attraverso fotografie e video che postiamo sui social». Non solo. Hanna lavora anche a monte, quando un sito archeologico viene minacciato da azioni legali. Come nel caso del Monastero greco ortodosso di Santa Caterina del Sinai in Egitto. Un sito patrimonio dell’Unesco risalente al 548 d.C, con ben 17 secoli di vita e che il generale dell’esercito in pensione Ahmed Ragai Attiya vorrebbe far demolire. Attiya, dopo avere depositato un dossier nel maggio 2012, ha ottenuto 71 ordini amministrativi per la demolizione del monastero e la deportazione dei monaci greci, sostenendo che costituiscono una minaccia per la sicurezza nazionale.Uno degli episodi in cui è stata maggiormente impegnata è la salvaguardia del Museo Nazionale del Malawi a Minya. Qui i danni causati dai saccheggiatori sono stati catastrofici. La maggior parte dei reperti sono stati rubati, distrutti o bruciati e il direttore generale dell’Unesco ha condannato «questo danno irreversibile per la storia e l’identità del popolo egiziano». «Mercoledì 16 agosto 2013 alle 15, dei teppisti, attraverso un sostenitore pro-Morsi, hanno attraversato il corteo di protesta, irrompendo nel museo. La mattina seguente, il personale del museo ha tentato l’ingresso, ma è stato scoraggiato dalla morte del bigliettaio a causa della quale teppisti e saccheggiatori hanno avuto libero accesso alla struttura per circa tre giorni. Il terzo giorno sono riuscita ad entrare, ho riferito alla polizia, all’esercito e al Ministero per le antichità. La polizia si è fatta viva appena il quarto giorno e ha salvato i restanti 45 oggetti rimasti illesi dal saccheggio su un totale di mille trafugati, oltre a un gran numero di frammenti archeologici».Quali sono i siti archeologici egiziani più in pericolo attualmente?«Le Necropoli memfitiche (a Saqqara e Dahshur in particolare). I siti del Medio Egitto (Antinoupolis, Bahnasa, Istabl Antar) sono attualmente sotto il pericolo di gravi saccheggi. Un altro sito importante che ha subìto un saccheggio massiccio è Abusir el-Malaq, tra Beni Suef e Fayyum.Come funziona il traffico illegale di reperti? Chi scava? Chi sono i gestori del businnes? È una sorta di mafia locale o globale? Questi pezzi d’arte dove vanno a finire?«Ci sono due tipi di saccheggiatori: bande organizzate e gente del posto. I mercanti di antichità organizzano e pagano il saccheggio operato dai tombaroli. I principali mercati d’arte egiziana sono stranieri si concentrano in Europa, specialmente nell’Est, in Estremo Oriente, in Libano, nell’area del Golfo, soprattutto da quando gli sceicchi hanno mostrato interesse per i pezzi d’arte, e negli Stati Uniti».Spesso lei ha avuto lunghi dibattiti su questo argomento nei talk show della tv egiziana e ha anche messo a tacere dal vivo il ministro delle Antichità, Zahi Hawass. Che tipo di responsabilità ha lo Stato egiziano in merito a quanto sta accadendo contro il patrimonio pre-islamico?«Lo Stato egiziano deve fornire una protezione per i siti archeologici attraverso la formazione adeguata del personale di sicurezza nei siti, nei depositi e nei musei. Inoltre, la moderna tecnologia di sorveglianza deve essere attuata per tutti i siti. Ragionando a lungo termine, lo Stato dovrebbe educare le comunità allo studio, alla conservazione e alla protezione dei siti archeologici. Sarebbe necessario anche un giro di vite sul turn-over dei funzionari responsabili in queste strutture. Il guaio è che in Egitto non è solo il patrimonio pre-islamico a essere in via di estinzione. Molti edifici mamelucchi e dell’epoca ottomana sono stati saccheggiati, anche al Cairo».L’Unesco sta facendo qualcosa? Pensa sia necessario avviare una forte campagna internazionale per difendere il patrimonio egiziano?«La protezione del patrimonio egiziano deve essere di esclusiva responsabilità dell’Egitto. La comunità internazionale è necessaria per fornire supporto, formazione, fondi, ma solo gli egiziani devono impegnarsi e lavorare per proteggere il loro patrimonio. È un dovere della memoria che va al di là di qualsiasi rivoluzione o status quo».
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