martedì 5 maggio 2015
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L’esperienza della guerra risulta fondamentale per uno scrittore come Vasilij Grossman, l’autore di quel grande capolavoro che è Vita e destino, che segue "sul campo" le battaglie cruciali della seconda guerra mondiale, fedele al principio, come lui stesso annotava, che «chi scrive ha il dovere di raccontare una verità tremenda, e chi legge ha il dovere civile di conoscerla, questa verità». Così, quando il 22 giugno 1941 la Germania nazista invade l’Unione Sovietica, Grossman a Mosca s’arruola volontario, con un peso nel cuore, quello di non essere riuscito a convincere la madre, che ancora abitava in Ucraina, a Berdicev, a trasferirsi a Mosca, dove per lei, di origine ebraica, ci sarebbe stata maggior protezione. Non ritenuto idoneo all’azione militare, lo scrittore viene impiegato come corrispondente speciale di guerra per conto del giornale dell’Armata Rossa Krasnaja Zvezda (Stella Rossa). Grossman però non è uno sprovveduto e non è uno di quei corrispondenti che si accontentano delle versioni ufficiali emanate da Stalin per pura propaganda: lui la guerra la vuole "vivere" e vedere, vuole sentire le parole e le opinioni dei soldati, vuole raccontare la "sua" verità, anziché quella precostituita. Per far questo, per poter raccontare la guerra nei minimi dettagli e con cognizione di causa, studia ogni dettaglio della teoria militare, tutto ciò che concerne la tattica, l’equipaggiamento e le armi, prestando particolare attenzione al gergo della trincea. Anche quando intervistava chi nessuno era mai riuscito ad avvicinare, non scriveva niente mentre la persona parlava. Di notte poi trascriveva la "sua" verità scomoda sui suoi taccuini, che sarebbero serviti per la scrittura degli articoli. Prendiamo il caso di Stalingrado: di tutti i giornalisti presenti sarebbe stato lui a restare più a lungo nella città assediata e tutti i corrispondenti al fronte erano rimasti senza parole quando avevano scoperto che Grossman era riuscito a far parlare il generale Gurtiev, comandante di divisione, un siberiano taciturno e schivo, per sei lunghe ore, ricavando tutte le informazioni necessarie, soprattutto in un momento cruciale della battaglia. Del resto Stalingrado è stata una delle esperienze fondamentali della sua esistenza e ha segnato, insieme alla morte della madre, il suo destino di scrittore, visto che la "battaglia" è centrale in Vita e destino. Ora quei taccuini, reperiti dagli archivi russi, vengono per la prima volta fatti conoscere e composti, all’interno di un racconto a due voci, quello dei curatori, lo storico inglese Antony Beevor e Luba Vinogradova, e quello delle testimonianze di Grossman, nel volume Uno scrittore in guerra, in libreria da giovedì, pubblicato da Adelphi (pagine 472, euro 23,00). Le pagine di questi taccuini, così lucide, così profonde, così vere, illuminano quindi l’opera dello scrittore e la legano alla sua capacità di guardare e di vedere senza remore «la verità spietata della guerra», di capire anche gli sbagli e le illusioni, «i disastri della collettivizzazione forzata, l’arroganza della nomenclatura e l’evidente disonestà della propaganda sovietica, di cui parlavano al fronte i soldati e gli ufficiali, sentendosi ormai condannati a morte». Il libro racconta gli anni e le tappe della Grande Guerra Patriottica, dallo shock dell’invasione tedesca del 1941 fino alla trionfale avanzata russa su Berlino, passando per l’epica battaglia di Kursk e l’atroce scoperta dei campi di sterminio di Treblinka e Majdanek. E proprio questo è uno degli aspetti più interessanti di questo libro, visto che Grossman è stato uno dei primi a raccontare la realtà dei campi di concentramento, come nel caso del celebre reportage su Treblinka. Il tema era assai stringente per lui, soprattutto dopo aver avuto la certezza, nel 1944, quando arriva a Berdicev, delle prime grandi esecuzioni di massa ai danni degli ebrei, di cui fu vittima anche la madre, e soprattutto viene a scoprire il ruolo che avevano avuto i vicini di casa nell’aiutare i nazisti. Sarà segnato da queste tragiche verità, al punto che in seguito cercherà di scoprire «il più possibile sulla sorte degli ebrei in Urss, un tema che le autorità si sforzavano di evitare». Del resto Grossman, per non essere riuscito a salvare la madre, sarebbe stato perseguitato dal rimorso per tutta la vita.
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