lunedì 11 maggio 2015
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​Dell’“ariosità” luminosa del Settecento l’interprete riconosciuto sarà il Metastasio, il quale ornerà degli stessi pregi il Goldoni («l’invidiabile  fluidità che mai non vi abbandona non meno nel verso che nella prosa»): l’ uno e l’altro estremi emblemi, nel teatro di azione e in quello musicale, del primato dell’italiano in Europa, coniugando l’uno in Mirandolina, l’altro ne Le cinesi, «l’innocenza ed il  piacer».Garbo, civiltà, franchezza; i personaggi goldoniani escono dallo schema delle maschere e si fanno protagonisti di un entregent urbano, spigliato e raramente caricaturato, come ricorda la vicenda del passaggio dal giovanile intreccio del Momolo Cortesan alla commedia, tutta scritta e tutta nell’aria del tempo, dell’Uomo di mondo, 1738: «Dalla precedente lettera dedicatoria avrai rilevato, Lettor benevolo, essere questa Commedia, che or ti presento, la stessa che diedi al pubblico molto prima, parte scritta, parte non scritta, intitolata: Momolo Cortesan. Questo titolo Veneziano, che pronunciamo noi cortesan, e in Toscano direbbesi Cortigiano, non suona lo stesso che altrove intenderebbesi, né in forza di addiettivo, né in forza di sostantivo. Intendesi da noi per Cortesan un uomo di mondo, franco in ogni occasione, che non si lascia gabbare sì facilmente, che sa conoscere i suoi vantaggi, onorato e civile, ma soggetto però alle passioni, e amante anzi che no del divertimento. Tale è il Protagonista della mia Commedia, Cortesan in Venezia: Uomo di Mondo altrove considerato».Il Goldoni stesso (Venezia, 1707 – Parigi, 1793) attraversa la vicenda europea, dal dialetto veneto dei suoi Rusteghi, di Sior Todero brontolon, delle Baruffe chiozzotte, sino al francese dei Mémoires o del Bourru bienfaisant, 1771 [tradotta in italiano con il titolo: Il burbero di buon cuore, 1789]; accolto alla corte di Luigi XV ma rispettato anche dai Rivoluzionari per la sua “coscienza di popolo”. Egli si presenta come il “disegnatore” di una “società di tessitori”, ove il “corale” dell’azione, della parola condivisa, prevale sulla trama non meno che sulle fioriture degli attori, parola di comunità, parola comune: «In fondo di questa Commedia è un’allegoria, che ha bisogno di spiegazione. Essendo io in quell’anno [1762] chiamato in Francia, e avendo risolto di andarvi, per lo spazio almeno di due anni, immaginai di prender congedo dal Pubblico di Venezia col mezzo di una commedia; e come non mi pareva ben fatto di parlare sfacciatamente ed alla scoperta di me, e delle cose mie, ho fatto de’ Commedianti una società di Tessitori, o sia di fabbricanti di stoffe, e mi sono coperto col titolo di Disegnatore. L’allegoria non è male adattata. I Comici eseguiscono le opere degli Autori, ed i Tessitori lavorano sul modello de’ loro Disegnatori» (Una delle ultime sere di Carnovale, 1762, L’autore a chi legge).La sua è la scena del quotidiano, tracciata con la velatura benevola del sorriso, senza enfasi, senza eccesso di sorprese, senza intermezzi di musica: «Intanto i Dotti fremevano: il Popolo s’infastidiva: tutti d’accordo esclamavano contra le cattive Commedie, e la maggior parte non aveva idea delle buone. Avvedutisi i Comici di questo universale scontento, andaron tentoni cercando il loro profitto nelle novità. Introdussero le macchine, le trasformazioni, le magnifiche decorazioni; ma oltre al riuscir cosa di troppo dispendio, il concorso del popolo ben presto diminuiva. Andate però in fumo le Macchine, hanno procurato di aiutar la Commedia cogl’Intermezzi in Musica; ottimo riuscì lo spediente per qualche tempo, ed io fui de’ primi a contribuirvi con moltissimi Intermezzi, fra’ quali mi ricordo aver fatta molta fortuna la Pupilla, la Birba, il Filosofo, l’Ippocondriaco, il Caffè, l’Amante Cabala, la Contessina, il Barcaiuolo. Ma i Comici non essendo Musici, non tardò l’Uditorio a sentire quanto poca relazione colla Commedia abbia la Musica» (Prefazione di Goldoni all’edizione Bettinelli, 1750, delle proprie Opere). Si potrebbe dire che un secolo pieno di contrasti culmini e quasi si chiuda nell’incontro che Goldoni narra aver avuto a Parigi con Jean-Jacques Rousseau, in occasione della recita del suo Bourru bienfaisant. I suoi Mémoires lasciano ampio spazio – quasi un atto unico – a quell’incontro, un ritratto al vivo «de cet homme extraordinaire qui avoit des talens supérieurs, des préjugés et des foiblesses incroyables»; il Goldoni deve salire quattro piani di scale, entra in una sala disadorna, mentre Rousseau sta copiando partiture di musica; la conversazione si volge alla «musique de passion» ma il filosofo è impaziente e dopo una frugale colazione («le souper fut servi dans le même instant: une poularde, une salde, et voilà tout») il congedo è rapido, con questo goldoniano chiudersi di sipario: «Rousseau étoit bourru, il l’avoit avoué lui-même dans sa dispute avec son ami ; il n’avoit qu’à se donner la bienfaisance, il auroit dit que c’étoit lui-même que je voulais jouer dans le Bourru bienfaisant; je me gardai bien de m’exposer à essuyer sa mauvaise humeur, et je ne le vis plus».Goldoni si era dipinto raccontando il suo Momolo cortesan : un «homme accompli»; si trovava di fronte un «homme acariâtre», acrimonioso e fiero; avrebbe voluto – se il secolo dovesse tingersi (come in effetti fu) di collera – ch’essa fosse pari a quella che Angélique leggeva nel pur brusco e burbero Geronte: «Qu’il est charmant avec sa colère!» (Le Bourru bienfaisant, atto I, scena VI). Non fu esaudito, ma ebbe tempo di osservare, con malizia, le nuove libertà portate dalla Rivoluzione: «La mode, en fait d’habillemens, a eu, il est vrai, un long interregne en France, mais elle a repris son ancien empire. Que des changemens en très-peu de tems ! des Polonnoises, des Lévites, des Fourreaux, des Robes à l’Angloise, des Chemises, des Pierrots, des Robes à la Turque et des Chapeaux de cent façons; et des Bonnets qu’on ne sauroit définir; et des Coëffures!... des Coëffures!».Così finiva, nello sguardo di Goldoni, il secolo XVIII.
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