domenica 4 marzo 2018
Il 6 marzo si celebra la Giornata di chi si impegnò per salvare gli ebrei dal nazismo ed è tempo di riflettere sui rischi della logica “buoni e cattivi”. Un estratto dal nuovo saggio di Nissim
I Giusti e la ricerca del bene possibile
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A differenza del giardiniere che si godeva in allegria la bellezza del suo campo fiorito, il carnefice doveva trovare il modo di soffocare la sua umanità per apprezzare a pieno la sua opera. Avveniva in lui una sorta di ribaltamento etico. In nome di quel progetto grandioso doveva cercare tutti gli espedienti per mettere a tacere la sua coscienza e ogni forma di pietas e di compassione naturale. Era questo il sacrificio personale a cui era chiamato per rendere possibile quello che riteneva fosse il bene per l’umanità. Così si sentiva un eroe e un uomo valoroso rispetto ai suoi amici e colleghi che invece si dimostravano incerti e titubanti. Di questo conflitto interiore che vivevano i nazisti era perfettamente consapevole Heinrich Himmler, il capo delle RSHA, le forze di sicurezza del Terzo Reich, il quale spiegò in un discorso agli ufficiali delle SS come un tedesco per il bene della Germania doveva scegliere se essere egoista o altruista.

Chi provava compassione era un vile che guardava al suo ego. Chi invece soffocava la sua umanità era un altruista. «L’ordine di risolvere la questione ebraica era l’ordine più spaventoso che un’organizzazione potesse ricevere.» Ma ecco il paradosso, come osserva il filosofo israeliano Moshe Halbertal: non era spaventoso per gli ebrei che venivano annientati nei campi, ma per gli ufficiali tedeschi che dovevano sopportare questa prova. «Noi ci rendiamo conto», continuava Himmler, «che ciò che attendiamo da voi è “sovrumano”, di essere “sovrumanamente” inumani». Era questo il vanto morale degli ufficiali delle SS di cui il capo nazista si sentiva orgoglioso: «Avere resistito sino alla fine ed essere rimasti puliti, questo è quello che ci ha induriti. È una pagina di gloria che non era mai stata scritta nella nostra storia e che mai più lo sarà».

Il sacrificio di sé e della propria pietas diventa quindi eroismo e abnegazione. È un meccanismo perverso che troviamo in tutti i regimi dove si compiono dei crimini contro l’umanità. Durante il comunismo, come narra Vasilij Grossman in Vita e destino, le persone con tanti ideali, per il bene della rivoluzione, erano pronte a diventare delatori, a denunciare i propri amici, familiari e colleghi e così a sancire la loro fine nei gulag. Lo facevano non solo perché erano condizionati dal terrore, ma perché erano convinti che quello sforzo interiore di rimozione e di autocensura dei più profondi sentimenti umani fosse il prezzo da pagare per il bene del socialismo, al punto da ritenere che quella sofferenza rappresentasse addirittura un merito personale degno di essere riconosciuto dagli altri. Un personaggio di Vita e destino, Nikolaj Krymov, un giovane dirigente dell’Internazionale comunista, racconta di avere provato un senso di euforia, quando aveva firmato un documento che approvava la condanna a morte di Nikolaj Ivanovic Bucharin, uno dei più noti dirigenti del partito bolscevico. Sapeva benissimo che era stato condannato per crimini assolutamente inventati, ma in nome della causa aveva deciso di sacrificare la sua coscienza personale. «Perché non ho parlato e non ho trovato la forza di dire no, Bucharin non poteva essere un sabotatore, un assassino e un provocatore? Quando è venuto il momento di votare, anche io ho alzato la mano. E ho messo la mia firma. E ho parlato e ho scritto un articolo con una foga che io credevo sincera. Dove erano finiti i miei dubbi, il mio sconcerto? Cosa stava succedendo. Ero un uomo con due coscienze? O ero due uomini diversi, ognuno con la sua coscienza?».

Nulla è mai scontato, anche le più importanti conquiste democratiche. Ogni momento si può salire su un treno che ci porta in una cattiva direzione. Lo aveva intuitoWinston Spencer Churchill negli anni Trenta, quando manifestò tutto il suo stupore di fronte alla crisi dell’Europa, prima che accadesse l’irreparabile. «Quasi nulla di ciò che io sono stato educato a ritenere vitale e permanente, quasi nulla di tutto questo è rimasto in piedi. Tutto ciò che ritenevo impossibile, e che ero stato educato a ritenere impossibile, ebbene tutto questo è accaduto». Hannah Arendt ne trasse poi le conseguenze quando affermò come le regole morali che sembravano permanenti e vitali potevano invece cambiare senza scalpore, come può avvenire per i nostri gusti nel mangiare e nel vestire. Le stesse persone che fino a ieri pensavano in un certo modo e difendevano certi valori potevano invece in nuove circostanze affermare esattamente il contrario. «E fu allora che ci accorgemmo del significato originale, etimologico della parola “morale” proveniente dal latino mores, che significa semplicemente usi e costumi che si possono cambiare all’improvviso senza troppi problemi, così come si possono cambiare da un giorno all’altro le nostre abitudini a tavola. Che impressione, che brividi sulla pelle, quando ci accorgemmo che le parole che avevamo adoperato fino a quel momento per designare queste realtà permanenti e vitali – “morale” di origine latina e “etica” di origine greca significavano solo usi e costumi».

Così nel tempo di ieri la gente con i nuovi costumi “morali” in tanta parte di Europa applaudì alle leggi razziali e all’annientamento degli ebrei, considerati l’elemento corrosivo e inquinante di tutta l’umanità, mentre nei paesi comunisti altra gente condizionata dall’ideologia e dal miraggio del socialismo accettò la persecuzione e il trasferimento nei gulag di quelli che erano di volta in volta definiti come nemici del popolo, perché appartenenti a una classe sociale da eliminare o perché difformi per le loro idee dall’orientamento politico del partito al potere. Anche nel tempo di oggi avvertiamo i segnali di un nuovo possibile cambiamento dei valori. A poco a poco di fronte ai complessi problemi della globalizzazione e a tante ineguaglianze mai risolte la gente spinta da partiti populisti ha cominciato a pensare che chiudendosi a riccio nel proprio ego, nella propria nazione e persino nella propria regione si possa trovare la via magica per il miglioramento della propria esistenza. E così, senza accorgercene, è tornata in auge nella politica e nelle relazioni umane la cultura del nemico e la divisione tra noi e loro, tra i buoni e i cattivi.

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