venerdì 8 maggio 2015
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Se fosse un titolo di un film, potrebbe essere “il Giro al tempo del colera”. Se fosse un romanzo di una vita “tutto il rosa della mia vita”. Visto che si sta parlando di Carmine Castellano, avvocato sorrentino che per trent’anni ha avocato a se il ciclismo targato Gazzetta è entrambe le cose. È per il colera, che nell’estate del 1973 colpì Napoli e la Campania, che tutto prese forma. Castellano si occupava di cause legali, ma nel suo cuore, fin da bambino, c’era il ciclismo. Una passione che l’ha portato anche ad organizzare nel 1973, con il suo Velo Sport Sant’Agnello, il campionato italiano per dilettanti. Al suo fianco un bel gruppo di amici e appassionati: Ciccio, Gerolamo, Nello, Salvatore, Michele e, su tutti, Aniello Coppola, il meccanico del Velo Sport, e Alfonso Iaccarino. Sì, proprio quell’Alfonso Iaccarino che, poi, sarebbe diventato per il mondo della ristorazione il famosissimo e pluristellato “Don Alfonso”, a Sant’Agata sui Due Golfi.Poi arriva una telefonata, che non allungherà la vita, ma in parte la cambia...«Marzo 1974, mi telefona l’amico e collega Raffaele Russo, all’epoca sindaco di Piano di Sorrento, che mi comunica di aver concordato con il grandissimo Vincenzo Torriani un arrivo di tappa a Sorrento  – racconta Castellano –. Siccome avevo maturato l’esperienza del “Campionato” mi invita a collaborare per fare in modo che la Gazzetta non sfiguri. L’anno prima la nostra regione era stata messa in ginocchio dal colera, quale migliore promozione del Giro d’Italia per il rilancio? Fu così che iniziò una collaborazione con Vincenzo Torriani rafforzatasi, poi, nel 1975 con il ritorno della corsa a Sorrento».Torriani capisce subito chi ha davanti. E l’anno dopo recluta quel giovane avvocato, che ha nel sangue la passione per la bici, nella sua squadra rosa. «Fu il coronamento di un sogno, che però vissi a piccole dosi, visto che non potevo assentarmi, di colpo per tre settimane, da casa».L’Italia del Giro d’Italia, per usare il titolo di un libro bellissimo scritto da Daniele Marchesini, lei l’ha conosciuta bene.«Il Giro d’Italia non è solo una corsa in bicicletta, ma è un viaggio attraverso la storia e la cultura del nostro Paese. Il Giro è un’istituzione, fa parte della nostra cultura. Non a caso il ciclismo è lo sport più indagato dai grandi scrittori e dagli studiosi di storia e sociologia, proprio perché nella vicenda del Giro riesce a riflettersi l’evoluzione sociale ed economica del Paese che si affaccia alla modernità, al lavoro industriale e alla società prima dei media e oggi dei social».La bicicletta prima strumento di libertà, poi di ricostruzione e oggi simbolo di trasporto alternativo e di benessere...«Esattamente. Il romanzo del Giro raccoglie tutte queste componenti. Mentre l’Italia impara ad andare in bici, per lavoro, quello che prende a gareggiare per le strade del Paese è un ciclismo eroico, oggi diremmo estremo. I Giri sono gare di sopravvivenza, le tappe sono sfibranti: da notte a notte. Oggi, però, possiamo dire che stiamo vivendo un rinascimento della bicicletta, come mezzo sociale, di benessere, di mobilità intelligente e alternativa. Oggi è uno sport per ricchi e per spiegare il ritorno d’amore per questo mezzo, un dato per tutti: un anno fa, la vendita delle bici ha superato quella delle auto».Il Giro d’Italia come parafrasi della vita e strumento di comunicazione ideale anche per promuovere Paesi e culture diverse.«Vincenzo Torriani, il “patron” del Giro per eccellenza, non ha mai pensato solo e soltanto all’aspetto agonistico della cosa. Ha sempre messo al centro il Paese, la storia e le varie realtà. Ha fatto comprendere a tanti cosa volesse dire comunicare e come si poteva farlo in maniera efficace. Anche in questo è stato davvero un innovatore. Io nel mio piccolo vado ancora oggi orgoglioso delle mie partenze dall’estero, una su tutte: Atene». Ci racconta come andò?«Nel 1996 ricorreva il centenario dell’Olimpiade moderna e della Gazzetta dello Sport, mi piaceva l’idea di partire dalla Grecia. Decisi così di andarne a parlare con Candido Cannavò, il direttore della “rosea”. Non dovetti spiegare tante cose: mi guardò, sorrise, prese in mano il telefono e chiamò immediatamente Juan Antonio Samaranch, l’allora presidente del Cio. Poche battute e il gioco era fatto. “Carmine, si parte dalla Grecia, stai tranquillo”». Bellissima e suggestiva fu anche la partenza del Giro nel 2000...«Certo, l’anno del Giubileo a Roma, con una toccante udienza a tutti i girini concessa da papa Giovanni Paolo II. Ricordo ancora gli occhi lucidi di Marco Pantani, che si inginocchiò ai piedi del Pontefice e Giovanni Paolo II che, sorridente, gli accarezzò come un buon padre la testa pelata. Quello era un momento molto delicato della vita di Marco e il Papa lo sapeva».L’immagine del suo ultimo Giro?«Il Colle delle Finestre, nel Giro 2005 vinto da Paolo Savoldelli. Ultimo capitolo di un libro denso di emozioni. Che bel romanzo è la vita».
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