martedì 13 maggio 2014
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Marcel Kittel è vulnerabile. Ma a mettere ko il velocista tedesco non sono i rivali bensì la febbre. Lo annuncia lui stesso via Twitter pochi minuti prima della partenza da Giovinazzo. Doveva salire in bici per siglare il tris consecutivo, invece, salirà in aereo per tornarsene a casa. Sulle facce dei corridori il passaggio dall’espressione stupita a quella beata è immediato. Soprattutto fra i velocisti, usciti con le ossa rotte e con poche illusioni dai due sprint irlandesi. Il Giro riparte dall’Italia in un clima nordico. Fino a ieri in Puglia si viaggiava col sole e sui 27 gradi, l’ideale per scrollarsi di dosso l’umidità accumulata in Irlanda, invece il gruppo si incolonna sotto l’acqua. Poco male, i corridori sono temprati a tutto, freddo e pioggia fanno parte del mestiere, ma da queste parti il rischio viene dall’asfalto e i corridori lo sanno: quando piove su queste strade è come pedalare sul sapone. Allora si parte al rallentatore intavolando una fitta trattativa con l’organizzazione per neutralizzare il tempo nell’ultimo giro del circuito finale. In pratica si chiede di prendere i tempi, per la classifica generale, a 8 chilometri dal traguardo, in modo da non far correre inutili rischi a chi corre per la maglia rosa e lasciare il campo libero solo ai kamikaze dello sprint. È la tappa più corta e discutendo, per quanto si vada piano, si arriva presto a 40 chilometri dal traguardo. Accordo trovato, la corsa può partire. Ma parte dello spettacolo se ne è andato in chiacchiere e il ciclismo ha perso l’occasione per dimostrare che parte del suo futuro si può giocare proprio nei circuiti. Anche se l’Uci – il Governo mondiale dei pedali - la pensa diversamente, visto che da qualche anno all’unica grande corsa che si disputava interamente in circuito – il Mondiale – è stata aggiunta un’appendice in linea. Certo, nessuno vuole ridurre le grandi classiche in linea a circuiti, ma tutte le altre gare ne guadagnerebbero in spettacolo e i tifosi sarebbero più incentivati ad assistervi dal vivo. Per non parlare della sicurezza e del disagio per il traffico. E gli organizzatori potrebbero trovare una risorsa economica in più facendo pagare il biglietto, modesto, perché il pubblico del ciclismo è abituato alla fruizione libera sulla strada e ben più comoda e avvincente in poltrona davanti alla tv. Ed è proprio questo il punto, all’Uci e ai grandi organizzatori, ormai, interessa solo la vendita dei diritti televisivi. È davanti alla tv che si vogliono fare i grandi numeri: sono certificati e gli spot pubblicitari garantiti. La quarta tappa del Giro d’Italia doveva essere una semplice formalità per i corridori: 112 chilometri sono ben poca cosa per chi è abituato a percorrerne più del doppio. Invece diventa una passeggiata che si accende solo all’ultimo giro del circuito di Bari e, come previsto, i corridori scivolano a terra uno dopo l’altro frantumando il gruppo. Sul rettilineo finale non c’è volata, il francese Bouhanni batte Giacomo Nizzolo e i pochi superstiti arrivati alla spicciolata. Sulla linea bianca l’ex pugile francese sventola i pugni in aria, l’italiano in forte rimonta li batte sul manubrio. Domani cambiano le prospettive. Il gruppo comincia a guardare in alto e gli uomini di classifica sono chiamati a mostrare i denti. La salita finale che porta a Viggiano, in Lucania, non è dura ma basta per togliere di mezzo i velocisti e sfilare la maglia rosa al giovane australiano Matthew.
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