giovedì 21 maggio 2015
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Una riflessione sul passare del tempo, sul nostro rapporto con il presente, il passato e il futuro. Il tempo che abbiamo vissuto, quello che attraversiamo e quello che ci resta. Il tempo fotografato e restituito dal cinema, il tempo che scandisce la musica. I protagonisti di La giovinezza, il film che Paolo Sorrentino ha presentato ieri in concorso a Cannes tra moltissimi applausi, alcuni “bravo!” e qualche fischio, sono non a caso un regista e un direttore d’orchestra. Il primo è al lavoro con un gruppo di sceneggiatori sul suo film testamento, il secondo invece ha deciso di ritirarsi dalle scene, anche se un ostinato emissario della regina Elisabetta lo invia ripetutamente a dirigere la sua Simple Song a corte (fatto realmente capitato a Riccardo Muti). Una musica che Fred sembra odiare perché a cantarla era sua moglie, che ora non c’è più. Amici di lunga data e consuoceri, Mick (Harvey Keitel) e Fred (Michael Caine), ormai alla soglia degli ottant’anni, trascorrono insieme una vacanza in un elegante hotel ai piedi delle Alpi, in Svizzera (casualmente quello dove Thomas Mann ha scritto La montagna incantata), osservando l’orologio della vita con tutti i suoi complessi meccanismi in un microcosmo in cui convergono anche un attore che si prepara a un nuovo ruolo (Paul Dano, che sembra Johnny Depp), Miss Universo (Madalina Ghenea), l’attrice feticcio di Mick (Jane Fonda), un calciatore a immagine e somiglianza di Maradona, uno scalatore e una serie di altri eccentrici e misteriosi personaggi. I due anziani artisti commentano confusione e crisi dei rispettivi figli, scavano nella memoria, passano in rassegna pentimenti e rimpianti, osservano divertiti i bizzarri rapporti tra gli altri ospiti, discutono con ironia, irriverenza e nostalgia di emozioni, amori, pulsioni, desideri perduti e quelli che ancora bruciano sotto la cenere. In gioventù hanno amato la stessa donna, Mick però non riesce neppure a ricordare se è riuscito ad averla. Il tutto raccontato con lo stile personale e visionario che caratterizza Sorrentino sin dal primo film, tra ambienti che tendono alla rarefazione e situazioni che si tingono di surreale, leggerezza e disincanto.«Il tema del tempo è quello che più mi appassiona – dice il regista – e sono convito che il futuro sia una grande occasione di libertà, condizione tipica della gioventù. Questo film sul rapporto tra padri e figli e sulla percezione del futuro anche da parte di chi non è più giovane, è decisamente ottimista e serve a esorcizzare paure che non sono solo mie». Il commovente finale del film rivelerà due diversi approcci alla vita che verrà: Mick (che ricorda il Guido Anselmi di 8 ½ di Fellini) perde ogni speranza e sceglie un gesto estremo, Fred si lascerà nuovamente abbracciare dalla musica per amore di sua moglie, personaggio fisicamente assente, ma determinante nel film. «Fred nutre un’amorevole distanza dalle cose – continua Sorrentino – che gli garantisce non certo la felicità, ma la quiete. È vaccinato dalle delusioni e moderato nelle passioni, mentre per Mick è sempre una questione di vita o di morte. Per un regista fare un film può diventare una vera e propria ossessione. Io mi sento vicino a lui anche se sto cercando di diventare come Fred». E continua: «La mia ambizione è sempre quella di fare film realistici, divertenti e commoventi. Invece spesso risulto grottesco, freddo e intellettualistico. Spero questa volta di riuscire a toccare il cuore degli spettatori con un’opera che ho scritto da solo e che giudico molto personale». Venduto in 75 paesi e in uscita oggi nelle nostre sale, il film è dedicato a Francesco Rosi: «Il regista di riferimento per molti autori italiani e americani. Una sera a casa sua l’ho sentito parlare con un amico di una fidanzata comune in gioventù. È quindi a lui che devo la scintilla iniziale della storia che ho immaginato».Di padri e figli, passato e futuro parla anche il secondo film in competizione ieri a Cannes, Mountains May Depart del cinese Jia Zhang-Ke, meritatamente accolto con molto entusiasmo. Ambientato tra la fine del 1999 e il 2025, è la storia di una giovane donna che tra due corteggiatori sceglie quello che le assicura un futuro più promettente. Una decisione che condizionerà la propria vita e quella del figlio Dollar, nome che rimanda a tutte le ambizioni paterne di ricchezza. Il ragazzino verrà mandato a studiare in Australia con la promessa di una vita migliore, ma la disillusione lo spingerà a tornare sui suoi passi. Il regista, sempre impegnato a fotografare con straordinaria forza, lucidità e sensibilità le mutazioni di un paese che ha calpestato passato e tradizioni per abbracciare una modernità schiacciata dal denaro e dall’avidità, ci racconta prima una Cina che ha rinunciato alla propria identità, agli antichi valori, agli affetti familiari e persino alla propria lingua (Dollar e suo padre hanno bisogno di un interprete per comunicare) per rincorrere uno stile di vita occidentale, poi una nuova generazione che tenta di ricucire lo strappo riappropriandosi delle radici perdute e dell’idioma dimenticato.
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