giovedì 25 marzo 2010
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Ammalato per troppo business. Ecco il male di cui soffre il calcio italiano. «Difficile riempire gli stadi se i soli diritti televisivi del precampionato assicurano lo stesso incasso di un’intera stagione sugli spalti. Ancora più complicato se il costo del biglietto non è più alla portata della tasca di operai e cassintegrati...».Gigi Riva, a 78 giorni dall’inizio dei Mondiali e con la volata-scudetto ormai lanciata, guarda oltre i risultati, Balotelli sì o no in maglia azzurra, il futuro commissario tecnico della nazionale, le favorite del Mondiale, oltre all’abbuffata calcistica in atto. Perchè per l’ex "Rombo di tuono" e attuale dirigente della Federcalcio, conta solamente lo sport vero, quello che resta quando si spengono le luci degli stadi e dai risultati si passa alla cultura sportiva. Riva ha ancora voglia di lanciare messaggi per migliorare un calcio «che oggi - dice - maschera i problemi del Paese: almeno una partita al giorno, tutti i giorni, ma il frigorifero di molti è desolatamente vuoto...».Che cosa non le piace del mondo del pallone attuale?«Che non si costruisce niente. Tutti vogliono evidenziare lati negativi ed errori. Non si riesce a fare un programma sportivo senza una moviola, sempre e solo alla ricerca spasmodica di un errore arbitrale. Dei giocatori non mi piace la simulazione. Sarei più severo con quelli che si buttano, cadono, sembrano morti e poi riprendono a giocare».Ma le polemiche fanno audience e portano pubblicità...«Ogni tanto però bisognerebbe costruire. Raccontare belle storie, con valore educativo. Ad esempio come quella, sofferta, di Andrea Cossu: da tifoso rossoblù a giocatore del Cagliari, fino alla Nazionale, passando per mille sacrifici, rinunciando a un ingaggio superiore pur di giocare con la maglia della sua città». Sport, come sempre dovrebbe essere, ancora palestra di vita?«Ai giovani si deve dire che tutti gli sport sono indispensabili per crescere, maturare, fare nuove amicizie. Si deve dimostrare con i fatti che la rivalità in campo dura 90 minuti. Invece davanti alla televisione si sente parlare solamente di scandali. Gli opinionisti in tv fanno a gara per leggere con cattiveria tutto quel che succede nel calcio. Si parla più delle squadre che perdono che di quelle che vincono, di panchine traballanti, di esoneri di allenatori...».La moviola in campo potrebbe eliminare un bel po’ di discussioni?«Potrebbe servire solo al quarto uomo, ma lascerebbe disoccupati gli opinionisti».È possibile un modo diverso di vivere campionati e coppe calcistiche?«Certo. Prendiamo il rugby. L’Italia perde  31 a 3 e nessuno fa drammi. Abbracci e bevuta fraterna negli spogliatoi e tutti a casa. Questo è sport autentico: nel calcio, ripeto, c’è troppo business».Il prossimo, per Gigi Riva, sarà il Mondiale numero 9: tre da calciatore, sei da dirigente federale. Che prospettive ha la Nazionale attuale, che non esalta e soprattutto segna poco?«Abbiamo buoni attaccanti. In questo momento non sono nelle condizioni migliori. Gilardino e Toni sono in crescita, Iaquinta ha appena ripreso, ma anche lui unitamente a Quagliarella e Pazzini, può solamente migliorare».E Balotelli?«È una promessa. Anche nell’Inter gioca poco o niente. Balotelli ha sicuramente dei numeri, ma chi escludiamo? Gilardino, Pazzini, Iaquinta o quei giocatori che hanno già dimostrato di saper stare in nazionale?».Forse è solo il carattere di Balotelli che preoccupa Lippi?«Purtroppo in Italia si deve sempre trovare un ostacolo per rompere le scatole al ct di turno. Si è sgonfiato il caso-Cassano, ora si attacca con la Balotelli-story. Tranquilli: Lippi non si fa imporre la formazione dai giornali».Non ha mai portato bene alla Nazionale vice o campione del mondo riproporsi quasi uguale nel Mondiale successivo. È successo nel ’74 con Valcareggi e nell’86 con Bearzot...«Si va in Sudafrica con gli uomini che hanno conquistato la qualificazione. In quattro anni un giovane non invecchia tutto in una volta».Al Mondiale, dove si giocano, finale compresa, non più di sette gare, conta più conservare il gruppo o avere il grande solista? «Bisogna trovare un equilibrio. Devi avere giocatori buoni, ma anche capaci di... stare nell’ambiente: andare in tribuna e in panchina senza problemi, farsi trovare pronti al momento opportuno. Nel 2006 in Germania avevamo qualche problemino. Ma chi restava fuori, accettava la situazione. Solo così puoi sperare di fare risultato. L’esito finale, poi, viene determinato anche da molti altri fattori».Il Mondiale più difficile vissuto da Gigi Riva?«Sicuramente quello del 2006. Quando siamo partiti da Pisa per la Germania non c’era neppure un cane all’aeroporto. Giocatori in pullman, due-tre auto di dirigenti, la scorta della polizia. Tutto qui».Totti tornerà in Nazionale?«Si vedrà nelle prossime settimane. Dipende anche da quali saranno le sue condizioni fisiche al momento delle convocazioni. Il rapporto tra il capitano romanista e Lippi è molto corretto e sincero».Il 12 aprile sarà il 40° anniversario dello scudetto del suo Cagliari...«Per me è un volo molto veloce tra ricordi belli e brutti. Lo scudetto è stata la prima vera rivincita per i sardi emigrati in Germania, Svizzera e nel Nord Italia. Ogni nostro successo contro Milan, Juve e Inter per loro era un motivo di orgoglio che superava i confini sportivi».
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