lunedì 6 maggio 2013
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Il 5 maggio 3012, il Giappone non avrà più la sua Giornata dei Bambini, semplicemente perché allora non ci saranno più bambini giapponesi. Non è fantascienza, neppure quella di "serie B", ma una realtà, sebbene virtuale, decodificata con sofisticati sistemi informatici "open source", secondo modelli elaborati nell’università giapponese del Tohoku dai ricercatori guidati da Hiroshi Yoshida. Il 5 maggio 2012 Yoshida ha reso disponibile l’orologio della popolazione infantile» (http://mega.econ.tohoku.ac.jp/Children/) che in tempo reale segnala il calo demografico del Paese e, in modo implicito, il temuto declino etnico-culturale. Risultati che finiscono inevitabilmente con amplificare un dibattito presente da tempo, ma sovente volutamente in sordina, sul futuro del Paese. In gioco equilibri di età e di possibilità, politica ed economia, ma anche qualcosa di più e di profondo. L’identità giapponese, infatti, è non solo radicata, in un territorio considerato dall’elaborata mitologia che fa da sfondo alla religione autoctona dello Shinto (la Via degli Dei) unico per origine e affidato proprio per la sua conservazione all’Homo japonicus, ma è anche totalizzante. In qualche modo slegata dalla pressione demografica di una popolazione passata in due secoli da 20 a quasi 130 milioni, ma tradizionalmente tutt’altro che folta o benestante su un territorio ostile, ma profondamente "proprio". Anche oggi, tra megalopoli e foreste buie, tra avanguardia tecnologica e profondo rispetto per la natura e per sue manifestazioni. In causa gli 1,3 figli di media per donna in età fertile, specchio di famiglie sempre più mononucleari e individuali, a loro volta immagine di un’evoluzione culturale che porta a pochi matrimoni in età sempre più avanzata, emancipazione dai ruoli tradizionali e "mitologici" (siano anche quelli della subordinazione femminile e della dedizione aziendale), adesione a tendenze esterne, ma anche alle a volte bizzarre elaborazioni locali. A fine 2012 i bambini in Giappone erano poco più di 16 milioni e mezzo, con una perdita di circa 300 mila rispetto all’anno precedente; un saldo negativo di 1,5 milioni negli ultimi sette anni: «Un numero che equivale a una città di medie dimensioni come Fukuoka», sottolinea il professore Yoshida (vedi intervista a fianco). «L’orologio della popolazione infantile mostra che ogni 100 secondi il Giappone perde un bambino. Un segnale eloquente di come il tasso di crescita demografica del Giappone stia scendendo e che occorre prendere al più presto le soluzioni più efficaci».
A una popolazione infantile in calo corrisponde una popolazione anziana in crescita marcata. Il Paese del Sol Levante ha oggi la più alta percentuale di ultra-sessantenni al mondo rispetto alla popolazione, il 23 per cento. Ovviamente per essi i problemi non riguardano soprattutto il futuro, ma in modo sempre crescente "l’oggi": a partire dall’ambito familiare dove un tempo dominavano e da cui oggi sono via via allontanati verso strutture assistenziali specializzate o verso una vita di solitudine alleggerita, ove presenti, da iniziative comunitarie pubbliche. I limiti non sono solo nell’accettazione sociale di questa situazione e nelle attitudini e scelte individuali. Esiste anche la volontà politica... o la sua mancanza. Un recente rapporto della Banca asiatica per lo sviluppo ha indicato come positivo l’innalzamento dell’età pensionabile in Giappone, per tutti, a 61 anni dal marzo scorso e a 65 entro il 2025 con la possibilità per le aziende di utilizzare dipendenti oltre quell’età a metà salario. Per contenere ulteriormente la spesa per gli anziani, saranno attivate una serie di iniziative per incentivare gli over 65 a una vita più attiva e produttiva. Anche meno a carico del bilancio pubblico. Provvedimenti necessari per un sistema politico che ritiene controproducente discutere di problemi legati alla natalità e all’invecchiamento salvo poi agire sotto la pressione di un elettorato sempre più incanutito, con una forte miopia verso il futuro. Come evidenziato in Giappone dall’Istituto nazionale per lo sviluppo della ricerca (Nira), se le tendenze non si modificheranno, l’età media degli elettori salirà nel 2030 a 60 anni e questo influirà in modo determinante sulle scelte politiche. Secondo Manabu Shimasawa, ricercatore del Nira, «già ora gli anziani hanno un impatto notevole sui risultati elettorali e i candidati propongono programmi a loro graditi. Al presente, le scelte governative rispecchiano questa situazione». Con il risultato che, conferma Shimasawa, «nessun personaggio o gruppo politico rappresenta gli interessi delle generazioni future, ma al contrario accresce il divario tra le generazioni».
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