martedì 20 novembre 2018
Le storie di Elena Proietti e Beatrice Benvenuti, giovani direttori di gara di calcio e di rugby accomunate da episodi di violenza subìta in campo e dal desiderio di sicurezza e giustizia
L'arbitro di rugby Maria Beatrice Benvenuti, romana, classe 1993.

L'arbitro di rugby Maria Beatrice Benvenuti, romana, classe 1993.

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Per un pallone (tondo o ovale) si può anche morire sì sa, o comunque stare molto male. Lo sanno bene Elena e Maria Beatrice, «arbitre per vocazione». Ma per un arbitro donna, il rischio violenza si alza in maniera esponenziale. La “direttrice” di gara è ancora più indifesa tra i «300 arbitri malmenati nei campionati minori» (ultimo report appena sbandierato dal ministro dell’Interno Matteo Salvini) della categoria nazionale. È forse la prima vittima sacrificale del “branco” devoto al dio del pallone.

Elena Proietti è una ragazza ternana che a trent’anni («ne compio 31 dopodomani»), ha dovuto rinunciare alla sua «passione»: scendere in campo ogni settimana per arbitrare sui campi del dilettantismo umbro. Il “fattaccio” che l’ha vista tristemente protagonista risale al 7 dicembre del 2014 quando un colpo alla tempia sferrato da un calciatore - durante Real Quadrelli- Trevana, gara di Prima categoria - gli ha causato danni fisici permanenti. «Ero andata a soccorrere un calciatore rimasto a terra infortunato quando mi sono sentita arrivare un pugno fortissimo... Io e il ragazzo infortunato siamo stati trasportati all’ospedale, in ambulanza, e lì sono rimasta ricoverata per 20 giorni». Questa storia agghiacciante, Elena l’ha raccontata prima al Tg1 (Rai) e domenica sera è stata ribadita con tanto di dibattito serrato nella trasmissione condotta da Massimo Giletti Non è l’Arena (in onda su La7, e domenica prossima se ne riparlerà, ndr). Elena da allora non arbitra più. «Vorrei, ma non posso purtroppo... – dice sconsolata ma con i sorriso delle donne forti –. Dopo quel pugno ho perso la vista dall’occhio destro e l’udito dall’orecchio, sempre destro, sono stata riconosciuta invalida al 67%. “E gli è andata anche bene”, disse a mia madre che piangeva, il prof. Michele Fortunato, l’oftalmologo del Bambin di Gesù di Roma che ringrazio ancora per le cure prestate e la diagnosi effettuata». Da libera e bella - con la sua fluente chioma bionda - ma soprattutto scattante, su è giù per il campo a seguire l’azione di gioco, Elena agli inizi si è ritrovata a non avere più neppure la possibilità di attraversare la strada da sola. «Mia sorella e i miei genitori dovevano accompagnarmi, non ero più in grado di uscire a fare due passi...». Nonostante tutto, invece non è mai uscita dal mondo Aia (Associazione italiana arbitri): ora fa l’osservatrice. Ma la solidarietà da parte dell’organo arbitrale presieduto da Marcello Nicchi pare non sia mai pervenuta. «Nessuno dall’Aia si è fatto vivo in quei giorni che ero in ospedale. Abbandonata. Sono stata risarcita dall’assicurazione ma per il resto nessun gesto, né una parola di solidarietà», sottolinea Elena, a cui anche la giustizia ordinaria ha parzialmente voltato le spalle. «Il giudice ha sentenziato che il pugno non è stato volontario e ha archiviato il procedimento penale che ora è passato in sede civile». La giustizia sportiva invece al calciatore dal “pugno facile” che ha stroncato la sua carriera arbitrale ha inflitto cinque anni di squalifica e tre di Daspo, «e quindi dal dicembre 2019 potrebbe tranquillamente ripresentarsi in campo e giocare. Questo, conferma che qualcosa non va, e che il calcio, ma le federazioni in genere, sono malate».

Per una volta la politica è stata più sana e attenta del mondo dello sport: l’onorevole Giorgia Meloni (leader di “Fratelli d’Italia”) gli ha espresso tutta la sua vicinanza candidandola alle ultime Comunali e il nuovo sindaco leghista di Terni, Leonardo Latini, ha voluto Elena nella sua squadra, nel ruolo di assessore allo Sport e alle Politiche giovanili. «L’impegno politico è la mia seconda opportunità, ma è duro accettare che qualcuno ha potuto rovinarti la vita... È tempo di dire basta alla scia di violenze sui giovani arbitri da parte di calciatori, dirigenti e genitori che sono sempre più folli».

Molti dei casi più cruenti accadono nei campi di periferia, dove la sicurezza è ridotta al lumicino e i folli da ultimo stadio agiscono impunemente contro arbitri giovanissimi. L’ultima giornata di ordinaria follia la scorsa settimana: Virtus Olympia San Basilio-Atletico Torrenova 1986 in cui per due espulsioni decretate alla squadra di casa il 24enne arbitro Riccardo Bernardini ha subito l’agguato negli spogliatoi. Dei “furiosi” (non chiamateli più tifosi) l’hanno aggredito fino quasi a farlo soffocare. Rianimato, è salvo per miracolo. La storia di Riccardo ha particolarmente colpito Maria Beatrice Benvenuti che all’indomani dell’accaduto ha provato a contattarlo. «A Riccardo ho scritto su Facebook, gli ho espresso tutta la mia vicinanza perché purtroppo so che cosa vuol dire provare dolore fisico, e non solo, per una violenza subita in campo ». “Bea” Benvenuti, classe 1993, è una delle rare donne arbitro del rugby italiano. Dirige a livello internazionale e fino all’11 dicembre del 2016 era anche un fischietto dell’Eccellenza, il massimo campionato maschile. Poi a Padova, durante il match Vicenza-Valsugana all’improvviso viene travolta da un “tir umano” («andate a vedere il filmato su Youtube»). L’oriundo argentino Bruno Andrés Doglioli, ex capitano del Vicenza, in preda a raptus si avventa contro Maria Beatrice che non può dimenticare quegli istanti di autentico terrore. «Mi ha caricato come un toro quando vede la mantiglia rossa... Eppure io ero quella in giallo». Maria Beatrice stoicamente porta lo stesso a termine la gara, poi la nausea e il ricovero in ospedale nella notte. Referto medico? «Due costole rotte, protrusioni discali a livello cervicale e ecchimosi estese su tutto il corpo. Più di venti giorni di prognosi». Lei sofferente su un letto, impaurita e chiusa in casa mentre il suo aggressore 48 ore dopo la radiazione da parte della Federugby era a bordo campo, birra in mano, a tifare per i compagni di squadra. Giganti dal cuore di pietra e per niente gentiluomini dell’ovale visto che nessuno ha mai avuto il coraggio di stigmatizzare l’aggressione di Maria Beatrice, che nonostante il trauma fisico e psicologico, ha avuto il coraggio di tornata ad in campo. Maria Beatrice come Elena, più forti dell’oltraggiosa omertà. «Capisco quando Elena Proietti dice di essersi sentita abbandonata dall’Aia. A me è capitata la stessa cosa da parte della Federazione. Sto ancora aspettando delle risposte. Intanto però bisogna fermare questo fenomeno delle aggressioni sui campi. Negli ultimi tempi anche i genitori dei giocatori di rugby danno segnali preoccupanti... Noi donne arbitro svantaggiate? Siamo nel XXI secolo eppure esistono ancora distinzioni di genere nel nostro Paese. Lo sport, specie le discipline fisiche e di contatto, a loro volta ne sono “affette” perché si tratta di piccole comunità che riproducono quella che è la nostra realtà quotidiana». Una realtà fatta di violenza gratuita che va combattuta, a cominciare da un campo di gioco, senza più girare lo sguardo, e stando sempre dalla parte di Elena e Maria Beatrice.

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