martedì 10 marzo 2009
Il celebre missionario e giornalista compie oggi 80 anni: una vita trascorsa a raccontare come l’annuncio del Vangelo cambia veramente il mondo «4 o 5 miliardi di persone non conoscono la Buona Notizia e hanno il diritto di riceverla, perché la conversione a Gesù libera dalla paura e migliora l’esistenza degli uomini»
COMMENTA E CONDIVIDI
Qualcuno ha contestato che sia il «missionario più famoso d’Italia», come sta scritto sulla co­pertina del libro che ha regalato ai lettori per il suo anniversario: «Ho tanta fiducia» (San Pao­lo, pp. 228, euro 14; prefazione di Roberto Be­retta). Ma di certo padre Piero Gheddo – che compie proprio oggi 80 anni – in oltre 50 anni di carriera, quasi 100 libri pubblicati, migliaia di articoli soprattutto per «Mondo e Missione» e per «Avvenire», trasmissioni in radio e alla Tv, è colui che dal Concilio in qui ha più di tutti dato voce nel nostro Paese all’esperienza dei missio­nari: quei 13.000 connazionali che testimonia­no il Vangelo e promuovono una vita più uma­na in tutti i continenti. Missionario del Pime di Milano, protagonista di tante battaglie giorna­listiche per il terzo mondo, padre Gheddo può contare tra i suoi maggiori vanti quello di non aver dimenticato la sua vocazione, anche se uf­ficialmente non è mai andato in missione (a par­te ovviamente gli instancabili viaggi di docu­mentazione compiuti in tutto il Sud del piane­ta): si può dire infatti che nemmeno una riga della sua vastissima produzione non abbia te­nuto presente la causa dell’annuncio del Van­gelo. Egli stesso lo scrive oggi nel suo cliccatis­simo blog, che appare sul sito www.missionli­ne. org: «Compiendo gli 80 anni non cesso an­cora di ringraziare Dio per questa vocazione. A­ver detto di sì al Signore mi ha dato una vita se­rena, piena di entusiasmo e di gioia. Grazie a Dio, sono un uomo felice e realizzato, pur fra molte sofferenze e difficoltà. Il secondo motivo di questa gioia è che, visitando in 56 anni di sa­cerdozio tutti i continenti e un’infinità di popo­li, di Paesi e di situazioni, mi sono reso conto della verità di quanto diceva la grande Madre Teresa: 'I popoli hanno fame di pane e di giu­stizia, ma soprattutto hanno fame e sete di Ge­sù Cristo'. Il più grande dono che possiamo fa­re ai popoli è l’annunzio della salvezza in Cristo e di testimoniarlo nella nostra vita». Dell’ultima fatica di padre Gheddo, che vuole raccogliere «80 anni in 80 domande senza peli sulla lingua», pubblichiamo qui un breve stralcio. I miliardi di uomini che non co­noscono Cristo non si salve­ranno? E perché mai? Il Vaticano II è mol­to chiaro. Dopo aver affermato «Dio vuole che tutti gli uomini siano sal­vi e giungano alla conoscenza del­la verità», il decreto Ad Gentes così continua ( n. 7): « Benché quindi Dio, attraverso vie che lui solo co­nosce, possa portare tutti gli uomi­ni che, senza loro colpa, ignorano il Vangelo, a quella fede senza la quale è impossibile piacergli (Ebrei 11, 6), è compito imprescindibile della Chiesa, ed insieme suo sacro­santo diritto, diffondere il Vange­lo ». In altre parole, un conto è «chi sen­za sua colpa ignora il Vangelo » e può essere salvato «per vie che so­lo Dio conosce»; un conto è chi già è stato battezzato e rifiuta la Chie­sa di Cristo per cercare altrove la salvezza. Ma solo Dio giudica (per­ché solo lui conosce il cuore del­l’uomo) le vie percorse dai singoli uomini. Tutti i popoli hanno dirit­to di conoscere che anche per loro è nato il Messia, il Salvatore. Inve­ce 4 o 5 miliardi di uomini e donne ancora non conoscono questa «buona notizia». Noi ci illudiamo dicendo che ovunque nel mondo la Chiesa locale è fondata, ma que­sto non significa che tutti gli uomi­ni e tutti i popoli abbiano ricevuto il messaggio di salvezza. Però, sono anche convinto che un buon numero di uomini e donne, pur non conoscendo Cristo, vivono osservando i precetti della legge na­turale che Dio ha messo nel cuore di ogni creatura e quindi Dio li sal­va «attraverso vie che lui solo co­nosce ». Lo dico per concreta espe­rienza visitando molte giovani Chiese fra i popoli non cristiani, do­ve sento spesso dire che, in quel po­polo, c’è molta «buona gente» che non è lontana da Cristo, pur essen­do educata in altre religioni. E mi ci­tano esempi di vite a servizio del prossimo anche fra i non cristiani. E allora, questo non basta per dire che, dunque, la missione alle gen­ti diventa inutile, superflua? Asso­lutamente no, primo perché c’è il comando preciso dato da Gesù di andare in tutto il mondo e annun­ziare il Vangelo ad ogni creatura; se­condo, perché tutti gli uomini e le donne hanno diritto di ricevere l’annunzio che è nato il Salvatore, il Messia. Se Gesù è nato per tutti vuol dire che tutti ne hanno biso­gno non solo per la «salvezza eter­na », ma anche per una vita più u­mana, personale, familiare, della società in cui vivono. La conversio­ne a Cristo e al Vangelo migliora la vita dell’uomo perché comunque lo avvicina a quel modello di «uo­mo nuovo » divino- umano che è Cristo. Non è il momento di finirla con i missionari, che vogliono far cam­biare religione a chi sta benissimo com’è? Credo che in Italia non si abbia un’i­dea precisa di cosa vuol dire «pa­ganesimo». I popoli che vivono se­condo lo stato di natura non vivo­no «benissimo», tutt’altro! E lo stes­so si potrebbe dire dei popoli con alcune religioni organizzate: cre­dono in Dio, ma pensano che sia lontanissimo nell’alto dei Cieli; che non si interessi dell’uomo, sia ir­raggiungibile, inconoscibile, im­prevedibile. La vita degli uomini e il mondo sono governati dagli spi­riti buoni e cattivi, ai quali bisogna fare sacrifici e non violare i loro tabù. Ovvio: si può pensare che, se que­sta è la loro religione, va rispettata punto e basta. D’accordo, ma io chiedo: perché privare alcuni po­poli e culture della fortuna (per chi ci crede si tratta appunto di una gra­zia) di conoscere il Vangelo? Forse il concetto non è facile da capire, per noi che viviamo in Italia e giu­dichiamo gli altri popoli e conti­nenti in base alla nostra esperien­za. I missionari che vivono a lungo fra le popolazioni africane e nella Papua Nuova Guinea, come fra i tri­bali asiatici (penso a quelli della Bir­mania), toccano con mano che quelle religioni animiste non por­tano la pace e la serenità del cuore, ma spesso generano il terrore e u­no stato di continua paura. L’annunzio di Cristo ha proprio questo significato: liberare gli uo­mini dalla paura del mistero, dan­do loro la certezza che Dio è Padre che ama e perdona, che si è fatto uomo per salvarci, è sempre in noi e vicino a noi. L’uomo per crescere ha bisogno di amore e solo il cri­stianesimo, dopo la rivelazione di Cristo, insegna e testimonia che Dio è amore. D’altra parte anche noi italiani, di­ventando meno cristiani, torniamo al paganesimo e finiamo per cre­dere ai maghi, agli oroscopi, al ma­locchio, ai morti che parlano, agli indovini, ai negromanti. Ecco, la Chiesa e i missionari annunziano la salvezza e la liberazione in Cristo per dare a tutti gli uomini e a tutti i popoli la Buona Notizia, liberan­doli dalla paura della morte, dal peccato e da ogni timore dei mi­steri che circondano il genere u­mano. La missione cattolica, almeno nei tempi moderni, ha avuto scarso successo. Perché continuare in un’opera che ha fatto il suo tem­po? Non si può parlare di successo o fal­limento delle missioni cristiane e meno che mai in termini di con­versioni e di statistiche! La prima volta che sono andato in Cina nel 1973, durante la Rivoluzione cultu­rale, non sono riuscito a vedere u­na sola chiesa cattolica aperta, né ad incontrare un solo cristiano. An­zi, la guida che ci accompagnava, alla domanda se c’erano chiese aperte, se potevamo incontrare qualche cristia­no e quanti cristiani c’era­no nel Paese, rispondeva invariabilmente che la Ci­na di Mao faceva a meno di Dio e della religione. Tornato in Italia ho dunque scritto che la Chiesa in Ci­na non esisteva più, che secoli di missione non avevano prodotto frutti. Ricordo che pensavo: i co­siddetti «cristiani del riso», che an­che i nostri missionari in Cina ave­vano prodotto in un secolo di e­vangelizzazione accompagnata da aiuti alimentari, erano frutto di me­todi sbagliati di missione e quindi non c’erano più. Per cui conclude­vo che, quando fosse tornata la li­bertà, bisognava «ricominciare da capo l’evangelizzazione dei cinesi». Oggi, con un minimo di libertà re­ligiosa e senza alcun aiuto dall’e­sterno, gli esperti calcolano invece che i cattolici cinesi riemersi dal nulla sono dai 12 ai 20 milioni (se­condo le stime), con un buon nu­mero di conversioni annuali in cia­scuna chiesa aperta; complessiva­mente i cristiani cinesi sarebbero circa 50 milioni, mentre quando nel 1949 Mao Tze Tung prese il potere in Cina, i cattolici erano tre milioni 700 mila e poco più i protestanti. La conclusione mi pare logica. L’at­tività missionaria annunzia Cristo e fonda la Chiesa, continuando a formare i cristiani fin che è possi­bile. Il resto è nelle mani di Dio che guida e giudica la storia. I successi o gli insuccessi li vede e li giudica lui solo. D’altra parte, da un punto di vista storico, ci sono voluti 4 o 5 secoli perché il messaggio cristiano convertisse il Medio Oriente, l’Eu­ropa mediterranea e il Nord Africa; e altri 5- 6 secoli per convertire il Nord Europa e l’Europa dell’Est fi­no alla grande Russia. Da un punto di vista storico, i pri­mi 1500 anni dopo Cristo sono sta­ti molto poveri di risultati visibili, contabili; se ricordiamo anche gli scismi d’Oriente e d’Occidente e la gravissima decadenza della Chiesa all’inizio del 1500, direi che sono stati quasi fallimentari. Al contrario, dal 1500 ad oggi, in soli 5 secoli, la Chiesa cattolica, e in genere il cri­stianesimo, hanno avuto uno svi­luppo eccezionale, cristianizzando le due Americhe, penetrando in tut­ta l’Asia e assumendo una posizio­ne dominante nell’Africa nera, al di sotto della fascia islamica del Nord Africa.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: