domenica 18 marzo 2018
In Israele, pedalando con cinque ex campioni, Simoni, Fondriest, Ballan, Tafi e Savoldelli, sulle strade da cui il 4 maggio partirà la corsa rosa: «Qui, uno sport portatore di pace»
Simoni, Fondriest, Ballan, Tafi e Savoldelli al giro di ricognizione sulle strade di Gerusalemme e di israele

Simoni, Fondriest, Ballan, Tafi e Savoldelli al giro di ricognizione sulle strade di Gerusalemme e di israele

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C’è chi ha vinto in maglia rosa, chi è stato campione del mondo, chi ha trionfato nelle più importanti classiche del Nord. Su un punto però sono tutti d’accordo: «Tra queste strade si dovrà pedalare sul serio». E chi scambierà l’inizio della corsa per una passerella, sottovalutando le tante incognite di un percorso non banale, rischierà di trovarsi indietro in classifica di un bel po’ di secondi. Gerusalemme, fine febbraio. Cinque vecchie glorie del ciclismo si danno appuntamento davanti alla Porta di Giaffa, uno degli accessi privilegiati per entrare nella Città Vecchia. Invitati dal locale ministero del Turismo, hanno un compito: provare il percorso delle prime tre tappe del prossimo Giro d’Italia. E quindi la cronometro d’esordio del 4 maggio che proprio da là scatterà, la seconda tappa che porterà i corridori da Haifa a Tel Aviv, la terza da Beersheva a Eilat.

Nel quintetto ci sono due trentini, Gilberto Simoni e Maurizio Fondriest. Un veneto, Alessandro Ballan. Un toscano, Andrea Tafi. E un lombardo, Paolo Savoldelli. Prime pedalate e subito, come per magia, si irradia nelle vene una consapevolezza profonda. Sulle strade nella mattina di ricognizione c’è poca gente, ma le diverse tipologie di passanti - ebrei ortodossi, fedeli islamici, pellegrini cattolici guardano a questa euforica combriccola con lo stesso identico sorriso. Pedali e sudore per costruire convivenza, inclusione, pace. A dare l’esempio è la squadra di casa, la Israel Cycling Academy, che al Giro correrà con il logo del Centro per la Pace voluto da Shimon Peres. «Essere qua è un’emozione indescrivibile» dice Tafi. Nel settembre del 2013, alla vigilia dei Mondiali fiorentini in cui fu coinvolto sul versante organizzativo, arrivò la notizia del conferimento del titolo di Giusto tra le Nazioni a Gino Bartali per l’aiuto offerto agli ebrei perseguitati.

Cinque anni dopo questo Giro si corre anche nel suo nome: da Gerusalemme a Roma, passando anche da Assisi meta di tante iniziative di soccorso. E quindi il Giro nel solco di Ginettaccio non poteva che iniziare con uno strappo, breve ma comunque impegnativo. «Guai a chi la chiama salita» scherza però “Gibo” Simoni, per anni padrone delle montagne più impervie. Lasciata la Porta di Giaffa alle spalle, il percorso costeggia l’area commerciale di Mamilla e quindi, dopo una svolta a sinistra, segna il momentaneo distacco dalla Gerusalemme antica per entrare a fondo in quella moderna. «Fondo stradale ottimo» il giudizio di Fondriest, attentissimo a ogni dettaglio tecnico e paesaggistico. Mentre il “falco” Savoldelli non resiste e, appena la strada scende un poco, ecco che si lancia come nei giorni di gloria. Tra gli edifici più significativi che si incontrano in questo primo tratto c’è l’hotel King David, ancora oggi sede di incontri internazionali di un certo spessore. A spezzare il ritmo, una serie di piccoli strappi che da zone residenziali portano fino all’area del Museo di Israele in cui sono conservati i celeberrimi rotoli rinvenuti a Qumran. Vigile in posizione di controllo la Knesset, il Parlamento. Poco più in là si intuiscono le forme del ponte fatto realizzare dall’archistar Santiago Calatrava, l’ingresso a Gerusalemme per chi arriva da Tel Aviv. Ma è il momento di rituffarsi nel passato. È la strada intitolata all’ex Primo ministro e Nobel per la pace Yitzhak Rabin a riavvicinare il quintetto alla Città Vecchia, che torna finalmente visibile all’orizzonte. Si prende la Shmuel HaNagid, lambendo la Hillel dove ha sede la sinagoga degli ebrei italiani residenti in Israele. Sprint finale vicino a un altro varco tra le mura, la Porta Nuova, da cui si accede nel quartiere cristiano. «Un avvio stimolante, per specialisti. Una cronometro che potrà già dire qualcosa» sentenzia Ballan.

Ed è un’opinione su cui tutti convergono, al termine dei dieci chilometri di prova. Più semplice la lettura della seconda tappa (167 chilometri), in cui è facile prevedere un arrivo in volata sul lungomare di Tel Aviv. Le vecchie glorie lo percorrono ad andatura turistica, gustandosi la bellezza di una passeggiata che appare a tutti un po’ californiana. Tante bici sulla ciclabile e gente che corre, saltella, riattiva la circolazione con esercizi fisici tra i più disparati mentre il sole sorge. Da Haifa, città dove si realizza forse la miglior convivenza tra arabi e israeliani, si scende lungo la costa. Si passa da Acri, ultimo baluardo cristiano a crollare nel 1291, e vicino ai resti romani e crociati di Cesarea. Tel Aviv invece è pura modernità, sviluppatasi su dune di sabbia disabitate fino all’inizio del secolo scorso. E di sabbia (insieme a roccia) i cinque campioni, nella simulazione della terza tappa, ne incontrano a palate. È il filo conduttore dei 226 chilometri interamente desertici che portano da Beersheva, la capitale del Negev, fino alla località più meridionale del paese, Eilat, che si affaccia sul Mar Rosso ed è stretta tra Giordania ed Egitto.

La grande attrazione, dopo 71 chilometri, è il cratere Ramon. Profondo 500 metri, è dominato dall’unico insediamento urbano in zona: Mitzpe Ramon. Ci si arriva dopo un lungo tratto in leggera salita che inizia a Sde Boker, il kibbutz in cui il padre della patria David Ben Gurion decise di ritirarsi. Capita di rado, ma ad accogliere il quintetto c’è un vento laterale pazzesco. Se si riproporrà in maggio, con l’aggiunta del gran caldo, ci saranno delle conseguenze. «Corridori che puntano alla classifica finale, ma gracili di corporatura, potrebbero staccarsi» conferma Ballan. Segni di vita umana, pochi. Ma tante piccole gemme illuminano il cuore. Vigneti che convivono con un clima avverso grazie a passione e high tech. E poi, quando Eilat è ormai in vista, la Valle del Timna dove sorgevano le leggendarie miniere di Re Salomone. Testimonianze e passaggi di un tempo antico che sono il filo conduttore di questo itinerario. I tanti hotel moderni possono confondere, perché l’identità di Eilat affonda le proprie radici nei millenni. È da qua infatti che, all’epoca del Regno di Israele, partivano le spedizioni commerciali per la penisola arabica e il Corno d’Africa. Una vocazione di incontro e dialogo da rilanciare. Anche in sella a una bici.

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