martedì 17 novembre 2015
​​È accaduto durante un derby Torino-Juventus disputato da bambini classe 2005. Vittime dell’inciviltà dei loro genitori che in un attimo sono passati dalle parole alle mani finendo all’ospedale.
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Lo disse il grande maestro dello storico vivaio del Torino Sergio Vatta, lo confermò una bandiera granata come Paolo Pulici (e anche il poeta del gol Ezio Vendrame): «Meglio allenare una squadra di orfani». Una provocazione che giriamo a “quelli che...” mamme e papà, che ancora vanno alle partite dei propri figli con lo stesso spirito con cui i gladiatori dell’antica Roma affrontavano le belve al Colosseo. L’ultima triste storia arriva da Borgomanero (Novara), dalla finale di un torneo Junior Cup: un derby, Juventus-Torino, ma attenzione: categoria Pulcini, classe 2005. Sì, avete letto bene: stiamo parlando di una partita di calcio tra bambini di dieci anni in cui per l’ennesima volta un genitore in tribuna, probabilmente “alterato” (non si spiegherebbe altrimenti) se la prende con un innocente in campo, insultandolo. Naturale, quanto immediata, la reazione della mamma del bambino preso di mira per via della sua statura che al “papà-ultrà” deve essere sembrata anomala per un pargolo da scuola elementare come il suo. Perciò ha ritenuto opportuno passare all’invettiva riferita al colore della maglia – granata – poi a quello ben più grave della pelle “scura” in quanto di madre cubana. Irriferibili gli epiteti che il “papàultrà” ha dispensato per la mamma che, mentre il suo bambino vinceva la finale del torneo, era impegnata a difendersi dai pesantissimi sfottò. Dalle mali parole, proseguite al bar, alle mani alzate, nel parcheggio dello stadio, è stato il classico attimo di follia. Dal duello personale si è poi passati alla rissa curvaiola, in perfetta linea con la violenza da derby di Serie A che, impotenti, continuiamo a stigmatizzare senza effetti - dalla notte dei tempi. La brutta storia da ultimissimo stadio è finita in ospedale: l’ambulanza che ha portato i due genitori al pronto soccorso per le cure del caso. Ora, da qualsiasi angolazione vogliamo guardare la vicenda che è al vaglio della Procura di Torino, è evidente che ci troviamo di fronte a una pagina di calcio malato. Un virus infetta persino l’ultimo avamposto di potenziale purezza, quello del calcio giovanile. Settimanalmente siamo costretti ad aggiornare il numero degli episodi abominevoli in cui si segnalano atti di razzismo. Perché un adulto che dà del «negro» a un bambino o «tornatene al tuo Paese » alla madre, è razzismo. Ma è razzismo anche innescare nella mente del proprio figlio lezioni da cattivissimi maestri come «lui è più alto di te e non può avere la tua stessa età», oppure «lui gioca perché è un raccomandato e ha già dietro il procuratore». Questo è il codice non-etico che circola nelle menti di molti, troppi genitori, i quali invece di preoccuparsi che il figlio si diverta assieme ai suoi compagni e cresca sano facendo sport, proiettano su un bambino di dieci anni le loro frustrazioni, i loro insani desideri. Pretendono e prefigurano per il loro Pulcino un futuro da Glik o da Pogba. Il riferimento a due idoli del calcio torinista e juventino sono solo in relazione al fatto che il match in questione riguardava i ragazzi del futuro di Toro e Juve. Due blasonate, dove una volta che il bambino entra a far parte del serbatoio dei potenziali talenti viene sottoposto a una serie di pressioni e di aspettative di matrice famigliare.  Le due società in questo caso sono spettatrici impotenti (genitori e dirigenti a Borgomanero hanno posto fine alla rissa che altrimenti poteva finire molto peggio) assolutamente vittime, quanto i bambini in campo, di un disagio che è sociale, che probabilmente inizia tra le quattro mura domestiche e trova poi sfogo – e la relativa cassa di risonanza – su una tribuna di uno dei tanti campetti di periferia, dalle Alpi fino alle isole della nostra bella Repubblica fondata sul pallone. La soluzione a parole è facile, andrebbe riposta nella trasmissione di una nuova cultura sportiva e nell’applicazione concreta di un vero codice etico riconosciuto e rispettato da tutti. Nell’attesa, si torna puntualmente a fare i conti con la maleducazione, con lo spirito intollerante (razzismo), con la violenza da stadio. Per fermare tutto questo viene quasi voglia di far disputare partite di Pulcini a “porte chiuse” per i genitori. Ma solo il pensiero, pare il peggiore degli autogol. 
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