martedì 28 aprile 2009
Al via oggi all’Università Cattolica le celebrazioni per il cinquantesimo anniversario della morte del fondatore Il francescano nella ricerca era un innovatore, dalla «sua» neuropsicologia a tutte le scienze: attitudine che travasò nell’ateneo che avrebbe dovuto formare una nuova classe dirigente cattolica
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Un «gran corpo con piccolissi­ma testa»: questa la metafora, incisiva ma alquanto impieto­sa, con cui padre Agostino Gemelli, qualche tempo dopo la creazione del­l’Università Cattolica, definiva il cat­tolicesimo italiano. La notizia viene da una lettera di Arturo Carlo Jemolo, che riporta le parole pronunciate dal rettore forse in una conversazione pri­vata. «Quanto alle masse cattoliche – scriveva Jemolo nel ’49 – ricordo che circa un quarto di secolo fa udii dalle Sue labbra un paragone molto sapido tra cattolicesimo francese ed italiano: il primo una gran testa senza corpo, il secondo un gran corpo con piccolis­sima testa». L’Università Cattolica era stata creata da qualche anno: perché, allora, chi più sentiva la responsabi­lità di guidarla esprimeva un giudizio che faceva trapelare dubbi e perples­sità sul grado di maturazione cultura­le di quel mondo cattolico che l’ave­va prodotta? Gemelli metteva a con­fronto la creatività del cattolicesimo francese e le caratteristiche del movi­mento generato dall’Opera dei con­gressi, un tronco solido da cui erano germinati molti polloni, ma anche un 'corpo' cui mancavano menti capa­ci di indirizzarlo nel difficile confron­to tra prospettiva religiosa e moder­nità. Era questo il compito che si era addossato, non coincidente solo con una sfida privata tra la foggia france­scana del saio che lo rivestiva e l’e­spulsione del cattolicesimo dai domi­ni della ragione laica, comminata da alcuni cultori della modernità nel cli­ma positivista di fine Ottocento, in cui lui stesso si era formato. I cattolici – sosteneva Gemelli – non devono confutare astrattamente i ne­mici della fede, bensì contribuire «con la pura indagine scientifica» a formu­lare nuove conclusioni, per far risal­tare l’incompletezza e l’incoerenza del sistema di pensiero degli 'avversari'. Ecco perché il rettore, amante delle scienze sperimentali, psicologo, in­dagatore che si avvaleva di mezzi di osservazione all’avanguardia, persi­no pilota all’età di sessant’anni, non aveva nulla dell’uomo di altri tempi. Il medievalismo non gli impediva di dar vita a un’impresa culturale (l’Uni­versità) che non doveva aver nulla di arcaico. Al centro di tale disegno vi e­ra l’auspicio di una metamorfosi po­litica, sociale e culturale, che l’ateneo avrebbe dovuto favorire formando quadri rinnovati. N on bastava creare un appar­tato giardino delle intelligen­ze cattoliche, per preservarle dai contagi della cultura laica; l’uni­versità 'libera' si candidava invece a fucina in cui sarebbe stata forgiata u­na classe dirigente integralmente cat­tolica e, allo stesso tempo, pienamen­te nazionale. E infatti l’ateneo era strutturato per fornire agli studenti i saperi necessari ai compiti civili cui e­rano destinati: le discipline sociali e le scienze economiche, sostenute da un lato dalle conoscenze psicologiche che il rettore aveva fatto fruttare sul terre­no patriottico, e dall’altro dall’ausilio dei filosofi neoscolastici, intenti a de­finire i criteri edificatori del nuovo Sta­to, avrebbero dovuto collocare l’ate­neo del Sacro Cuore al centro del pro­cesso di rifondazione nazionale. Uni­versità, dunque, cattolica ma anche i­taliana, perché alimentata da un dise­gno complessivo che mirava a raffor­zare il senso di responsabilità civile della cattolicità italiana, per trasfor­marla, da luogo della contestazione degli assetti liberali, a sorgente di un modo diverso di essere cittadini. Il fascismo si inserì in questo proget­to, alterandone parzialmente le carat­teristiche. L’Università si trovò ben presto ad operare all’interno di un si­stema a vocazione totalitaria, che complicava la strategia del rettore. Fi­niva allora per polemizzare, non solo con l’agnosticismo moderno, ma con la forzata attrazione dell’individuo nello Stato etico idealista, paventando un inasprimento della temperie auto­ritaria. E infatti le autorità fasciste va­lutavano con preoccupazione l’anco­raggio al modello di Stato cattolico, preteso da Gemelli, e lo stile educati­vo dell’ateneo, accusato di «non edu­care fascistica­mente » e dunque al centro di lunghi contenziosi, mo­menti di rottura e faticose ricomposi­zioni. La rigidità di­mostrata da Gemelli si spiega anche con la necessità di porre un argine nei con­fronti di aperture pericolose per la collocazione di u­na libera università in età dittatoriale. La scelta per la ri­gorosa ortodossia diveniva, non solo un limite alla ricerca individuale, ma una specie di difesa dal mondo che Gemelli si augurava funzionasse an­che nei confronti della dittatura. L’i­namovibilità dottrinale, peraltro, era il sostrato che apriva a una sorta di sperimentalismo in diversi settori. Quanto al fascismo, si può osservare che, pur fra cedimenti e alterazioni del progetto, Gemelli riuscì a difendere l’intuizione originaria, apprestando, in vista della successione, una porzio- ne notevole della classe dirigente che ha guidato il Paese dopo il ’45. L’Uni­versità Cattolica, che già forniva gio­vani all’insegnamento, alle carriere u­niversitarie e alle libere professioni, vide molti docenti e laureati entrare nelle istituzioni nazionali, nella pub­blica amministrazione, negli enti lo­cali e nei punti nevralgici per la rico­struzione del Paese, contribuendo al­la rinascita democratica, alla fonda­zione della Dc ( i documenti ci dico­no che padre Ge­melli, d’accordo con Montini e con De Gasperi, ha convinto Pio XII dell’opportunità di sostenere il na­scente partito cat­tolico), all’Assem­blea costituente, alla ripresa econo­mica e al ripristino di libere attività sindacali. Parlare del suo rettore si­gnifica insomma riflettere su un in­tellettuale e su un organizzatore di cultura che non ha esitato a fare i conti con la propria e­poca. Si devono discutere i risultati ot­tenuti, le luci e le ombre di quella at­titudine progettuale, gli esiti teorici e pratici, non ultimo, probabilmente, il fardello ideologico trasmesso ai suoi e­redi. Tali valutazioni, tuttavia, devono riconoscere a padre Gemelli almeno una capacità: quella di incidere sul proprio tempo, una capacità che for­se altre volte, in campo cattolico, ha faticato a mostrarsi. A sinistra, Gemelli sessantenne ai comandi di un aereo.
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