sabato 25 settembre 2010
COMMENTA E CONDIVIDI
Il suo nome dice poco, ma la sua storia probabilmente ce la ricordiamo tutti. Il dottor Izzeldin Abuelaish è infatti un’icona drammatica dell’ultima guerra combattuta a Gaza. Questo ginecologo palestinese che aveva lavorato in un ospedale di Tel Aviv e che – amico di un giornalista di Channel 10 – raccontava ai telespettatori israeliani la guerra da dentro Gaza inaccessibile ai giornalisti, per una crudele coincidenza il 16 gennaio 2009 stava parlando proprio in diretta alla tv quando un razzo israeliano ha colpito casa sua, uccidendo tre sue figlie e una nipote. La sua storia fece subito il giro del mondo, destando emozione in Israele e ovunque. Ma ora è anche il cuore di un libro che con coraggio il dottor Abuelaish ha deciso di intitolare Io non odierò. Il volume è stato pubblicato qualche settimana fa dall’editore Random House in Canada, dove oggi il medico vive con i suoi 5 figli superstiti (la moglie, tragedia nella tragedia, era già morta nel 2008 per un tumore). «Si tratta di una proposta di lavoro per 5 anni che avevo già accettato prima ancora che scoppiasse la guerra – precisa –. Ma vado e torno comunque da Gaza». Il libro riporta in copertina un’immagine di Bessan, Aya e Mayar – le ragazze rimaste uccise – che scrivono il loro nome sulla sabbia sulla spiaggia di Gaza. Una fotografia scattata poche settimane prima della morte, durante una gita al mare nei giorni dell’Hajj (il periodo del pellegrinaggio alla Mecca per i musulmani) che Abuelaish aveva organizzato per annunciare ai figli il progetto di trasferirsi per qualche tempo in Canada. E proprio dalla quotidianità di Gaza e dai sogni delle tre ragazze prende le mosse il libro. «È raro poter vedere il proprio nome scolpito nella pietra o nel metallo – ha spiegato in un’intervista al quotidiano israeliano Haaretz Abuelaish –. Succede solo ai generali e agli statisti. Per la maggior parte di noi, l’unico posto in cui i nostri nomi vengono scolpiti è la lapide del cimitero. Io ho promesso che i nomi delle mie figlie saranno scolpiti nella pietra e nel metallo, a Gerusalemme e ovunque. Attraverso di loro voglio offrire alle donne e alle ragazze palestinesi l’opportunità di accedere all’istruzione. Per questo ho istituito in loro memoria una fondazione che ho chiamato "Figlie per la vita" (per saperne di più si può consultare il sito internet daughtersforlife.com)».Nel libro Abuelaish non fa sconti nel presentare la situazione di Gaza: l’isolamento, le privazioni, le violenze. «Come medico – scrive – descriverei questo ciclo di aggressioni e ritorsioni come una sindrome autodistruttiva che emerge quando sei senza speranze. I rudimentali ed economici Qassam – di fatto – sono diventati i razzi più costosi del mondo dal punto di vista delle conseguenze che creano da entrambe le parti della barricata». Ma Abuelaish ha da molto tempo scelto un’altra strada. «Tutta la mia vita adulta l’ho trascorsa tenendo una gamba in Palestina e l’altra in Israele, un percorso alquanto insolito in questa regione – ricorda nel libro –. Che si tratti di far nascere bambini, aiutare coppie a superare l’infertilità o di condurre ricerche sulle differenze nell’assistenza sanitaria sui ricchi e sui poveri, penso che la medicina possa aiutare a fare da ponte sulle divisioni tra i nostri popoli e che i dottori possano essere messaggeri di pace. Non sono arrivato a questa conclusione a cuor leggero – tiene comunque a sottolineare –. Sono nato a Jabalia, un campo di rifugiati, sono cresciuto da rifugiato e mi sono sottoposto settimanalmente all’umiliazione dei check-point e alle frustrazioni e ai ritardi senza fine che entrare e uscire da Gaza porta con sé. Ma penso comunque che la vendetta e la ritorsione alla vendetta siano un comportamento suicida, che il rispetto reciproco, l’uguaglianza e la coesistenza siano l’unica strada ragionevole che abbiamo davanti, e sono fermamente convinto che la stragrande maggioranza della gente che vive in questa regione sia d’accordo con me». Questo era il dottor Abuelaish prima che un missile israeliano gli portasse via tre figlie. E questo – testimonia il suo libro – è rimasto anche dopo. «La gente pensa che anch’io debba soccombere all’odio e alla vendetta – ha detto nell’intervista ad Haaretz –. Come credente musulmano e come medico la mia risposta all’odio e alla vendetta è riuscire a sconfiggerli. Mi sforzo di credere che anche dalla nostra sofferenza possa emergere qualcosa di buono; l’altra alternativa sarebbe troppo buia per me. Le mie tre care figlie e mia nipote sono morte: la vendetta, pur essendo così diffusa in Medio Oriente, non me le riporterà mai indietro. È importante provare tutto il dolore di questa situazione, ma si può scegliere di non trasformare questo dolore in odio. La vendetta spazza via la speranza e porta solo a un’angoscia ancora più grande». Al giornalista che gli chiedeva la sua posizione sul caso di Gilad Shalit, il soldato israeliano rapito nel 2006 e ancora in mani palestinesi a Gaza, Abuelaish ha risposto: «Per me la vita delle persone e la libertà individuale sono importanti. Voglio che Gilad Shalit sia liberato e capisco la pena e la sofferenza dei suoi genitori. Ma anch’io ho perso le mie figlie. E a tutt’oggi nessun esponente del governo israeliano mi ha rivolto delle scuse».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: